consulenza manageriale

lunedì, agosto 15, 2011

L’imprenditore

A norma dell'articolo 2082 del Codice Civile (Libro V, Titolo II, Capo I, Sezione I) si definisce imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.

Di conseguenza l'impresa, sotto il profilo giuridico, è un'attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.

Intorno al Cinquecento appaiono le prime citazioni del termine imprenditore. Con questo nome si indicava il capitano di ventura che ingaggiava truppe per servire principi e potenti. Solo nel Settecento la definizione d'imprenditore assume i connotati moderni (nel campo agricolo il proprietario terriero, in quello manifatturiero chi produceva merci da distribuire, in quello pubblico l'impresario che realizzava infrastrutture).
Nel 1803 nel suo Traité d'économie politique Jean Baptist Say descrisse il ruolo centrale dell’imprenditore nel mondo del capitale, della produzione, del commercio e del consumo e nel 1912 Joseph Schumpeter si occupò della funzione di innovazione nei fattori produttivi apportata dalla figura dell'imprenditore.

Al giorno d’oggi e secondo la norma:

· può essere imprenditore sia una persona fisica che una persona giuridica;

· per attività economica si intende ogni attività volta ad utilizzare i fattori produttivi (capitale, lavoro e materie prime) per ottenere un prodotto (bene o servizio):

· i beni e servizi che costituiscono il prodotto dell'impresa sono solo quelli che hanno un valore economico; i beni o servizi eventualmente prodotti dall'attività d'impresa privi di un valore di scambio non costituiscono "prodotto" in senso economico;

· la destinazione al mercato dei consumatori è fondamentale perché si possa parlare di attività imprenditoriale: l'attività imprenditoriale deve essere volta a soddisfare i bisogni altrui;

· sull'imprenditore ricade il rischio d'impresa ovvero il rischio del risultato economico dell'attività intrapresa.

L’impresa ha quindi un obiettivo (produzione o scambio di beni o servizi) e, sotto il profilo economico, deve essere condotta con criteri che prevedano una adeguata copertura dei costi con i ricavi.

Fin qui le regole e le norme (e alcuni cenni storici).

E’ possibile dire che siamo tutti imprenditori

Qualsiasi sia il nostro lavoro o quello che vogliamo fare, a meno che non ci piaccia solo eseguire alla lettera gli ordini che riceviamo; sia che siamo titolari di azienda o manager o quadri o anche semplici impiegati od operai, se abbiamo delle responsabilità e delle aspirazioni siamo imprenditori, anche se di un’impresa costituita solo da noi stessi.

Imprenditore è colui che opera in maniera totalmente differente da come operano i concorrenti. Imprenditore è colui che vede cose che gli altri non vedono. L’imprenditore è un visionario.

Passione, energia, entusiasmo e pulsione questo è quello che distingue l’imprenditore di successo da tutti gli altri.

Un imprenditore entra in un settore innovando nel senso di produrre o di distribuire in maniera diversa, aggiungendo, sottraendo o migliorando caratteristiche e benefici al prodotto o al servizio dei concorrenti.

Qualcuno ha detto: “se non sei in affari per soldi, per divertimento o per tutti e due che ci fai lì?”. In effetti la maggior parte degli imprenditori di successo ama il proprio lavoro.

Un antico proverbio giapponese recita: “la visione senza l’azione è sognare ad occhi aperti ma agire senza visione è un incubo”.

La domanda a cui quindi è necessario rispondere ed esaminare in maniera profonda è PERCHE’? Perchè abbiamo deciso di diventare imprenditori. Cosa ci ha spinto ad intraprendere un lavoro difficile e rischioso, che richiede tutta la nostra attenzione, che prende tutto il nostro tempo.

I perchè decidiamo d’intraprendere possono essere vari:

· non abbiamo più il “posto fisso”;

· siamo stanchi di lavorare per altri e vogliamo essere indipendenti;

· abbiamo vinto all’enalotto o ricevuto un’eredità;

· per caso;

· esiste un’azienda di famiglia;

· vogliamo trasformare un nostro interesse, un hobby, in impresa;

· abbiamo una buona idea.

Esistono quindi diverse ragioni per cui abbiamo deciso di intraprendere, ma dobbiamo andare più a fondo e scoprire i veri nostri obiettivi:

· vogliamo fare qualcosa per gli altri;

· il campo in cui operiamo è obsoleto e vediamo le cose in maniera differente;

· vogliamo migliorare le condizioni economiche della nostra famiglia;

· cerchiamo più soddisfazione nel lavoro;

· è qualcosa che abbiamo sempre sognato.

Avere sempre presenti i nostri obiettivi ci aiuterà a superare i momenti difficili.

Qualunque sia la ragione e gli obiettivi per cui abbiamo iniziato, il vero motivo è che abbiamo un certo talento o attitudine per la parte operativa dell’impresa: l’amministrazione, la commercializzazione, la produzione. La competenza in queste aree è ovviamente importante per iniziare, ma il fatto è che l’area operativa dell’impresa è solo una parte che costituisce il ciclo di vita dell’impresa stessa. Questo ciclo di vita in generale consiste in quattro fasi:

· start up è il vero e proprio inizio dell’impresa, oppure può essere l’introduzione di un nuovo prodotto o servizio, o una nuova locazione in un altro paese, o l’introduzione di un nuovo dipartimento o funzione;

· crescita è la fase in cui l’impresa si sviluppa attraverso le vendite, il personale, l’organizzazione, la struttura, la ricerca;

· continuità è la fase di consolidamento dell’impresa;

· riorganizzazione è la fase più critica: cambia il mercato, cambiano le leggi, cambia il rapporto con le risorse umane, il nostro prodotto o servizio diventa obsoleto.

Comprendere e superare le fasi del ciclo di vita dell’impresa presuppone possedere altre competenze che non sono solo quelle operative, ma è necessario avere competenze nella logistica, distribuzione, marketing, gestione delle risorse umane. La sinergia tra queste competenze ci permetterà di crescere e raggiungere gli obiettivi prefissi.

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Innestare conoscenze e competenze nelle MPMI

Le metafore con cui di solito ci si riferisce all’azienda sono tante, poiché è vasta, fin troppo, la letteratura sull’argomento. Tutti ne parlano, ne scrivono e teorizzano, tranne quelli che la vivono giorno per giorno e cercano di risolverne i problemi. La più interessante è forse la metafora che considera l’azienda come un albero: le radici, il tronco, i rami, le foglie e i frutti.



Quindi parliamo di innesto.

L'innesto è un metodo con il quale si ottiene un nuovo individuo saldando tra di loro due o più varietà di piante.

La tecnica dell'innesto consiste, nella pratica, nel far saldare la parte viva di una pianta su di un altra pianta provvista di radici.

La porzione di pianta che verrà ospitata andrà a costituire la parte superiore, del futuro individuo; il tronco, invece, costituirà la base che, con le proprie radici, procurerà il nutrimento e fungerà da sostegno.

Perchè le piante vengono innestate? I motivi sono assai vari, per esempio, si può innestare una pianta semplicemente per salvarla da morte certa, salvando la parte non colpita dalla malattia ed innestandola su un individuo sano, oppure per creare una nuova specie, per migliorare le caratteristiche di un determinato tipo di pianta, per consentire ad una pianta di poter sopravvivere fornendole migliori caratteristiche che si adattino all'ambiente e così via...

Insomma per dare vita ad un nuovo e migliore individuo.

Un innesto, per poter andare a buon fine, deve avvenire in particolari condizioni e deve essere eseguito secondo determinate modalità che, se non attuate, porterebbero quasi certamente alla morte delle due parti.

Per la buona riuscita di un innesto è infatti necessario che le due piante siano botanicamente affini, ma questo non vuol dire che debbano per forza appartenere alla stessa specie; un innesto può infatti essere fatto tra specie e varietà dello stesso genere così come tra generi diversi della stessa famiglia od anche tra piante appartenenti a famiglie diverse ma con le stesse caratteristiche esteriori e comportamentali.

A questo punto sorvoliamo sulle varie tecniche d’innesto. Anche se la terminologia è a tratti interessante e a volte curiosa e divertente. Diremo solo che esistono due tipi di innesto che si suddividono secondo le diverse modalità e tecniche, il primo è l'innesto a gemma in cui vengono utilizzate le gemme provenienti da rami, il secondo è invece il cosiddetto innesto a marza che avviene utilizzando un intera porzione di ramo dotata di numerose e particolari gemme.

L'innesto a gemma può essere: a toppa, a pezza o a tassello, ad anello o a zufolo. L'innesto a marza può invece essere: a spacco comune, a sperone, a cavallo, a spacco terminale.

Fuori di metafora, ora, stiamo parlando di azienda, tronco, su cui innestiamo un dirigente, gemma, portatore di conoscenza e competenza. Non stiamo parlando dell’inserimento in azienda di un consulente ma di un vero e proprio innesto in azienda di un dirigente esperto e competente, e questo vuol dire affrontare diversi problemi da risolvere con metodo. D’altra parte anche per un innesto in agricoltura è necessario operare con una certa metodologia per essere sicuri che esso vada a buon fine.

Si tratta quindi di preparare sia l’azienda a ricevere l’innesto sia il dirigente a diventare un buon innesto portatore di frutti in modo da creare un nuovo soggetto.

Il problema principale delle MPMI (micro, piccole e medie imprese) è certamente la crescita. Le MPMI hanno quindi il problema di migliorare la cultura aziendale, le strategie e l’operatività. Crescere quindi in qualità: le dimensioni cresceranno di conseguenza.

Il ragionamento è logico e molto semplice: se voglio far crescere il mio fatturato (l’unica cifra positiva, col segno più, nel mio conto economico, tutte le altre cifre hanno il segno meno) ho un’unica possibilità: far crescere la mia quota di mercato cioè essere più competitivo sul mio mercato, meglio ancora creare un nuovo mercato in cui essere, almeno all’inizio, il solo player. Per far crescere la mia quota di mercato avrò bisogno di modificare i miei processi interni, nel senso di renderli più efficienti (più produttività e quindi meno costi) e più efficaci (innovazione di prodotto e di processo). Di conseguenza l’attenzione va posta sui collaboratori che possono fornire queste prestazioni.

La ricerca e la selezione di collaboratori operativi è complessa perché il personale specializzato è sempre più difficile da trovare e perché questa categoria tende ad essere attratta dalle grandi imprese. Ma ancora più complesso e difficile risulta l’inserimento di dirigenti nelle MPMI, per motivi interni ed esterni. I motivi interni sono la scarsa disponibilità finanziaria e psicologica dell’assetto proprietario delle MPMI. Si tratta della resistenza, in generale, dell’imprenditore ad inserire nell’impresa in funzione dirigenziale persone estranee alla propria famiglia. Per quanto riguarda i motivi esterni si tratta di modificare l’atteggiamento di manager che, provenendo da grandi imprese, spesso sanno dire cosa fare e non sanno e/o non vogliono fare. Si tratta quindi in molti casi di dirigenti che propendono legittimamente verso la professione di consulenti classici, che resistono al coinvolgimento legato a risultati.

Della azienda e dei suoi problemi abbiamo già detto (vedi).

In sintesi i problemi delle MPMI si possono indicare in:

1) una cultura d'impresa spesso eccessivamente focalizzata sui soli fattori produttivi e non sempre adeguata a cogliere in maniera efficace gli
stimoli provenienti dall'esterno;

2) la difficoltà a disporre della capacità finanziaria atta a sostenere in modo adeguato la crescita.

Il problema della difficoltà di reperimento delle figure manageriali deriva dai costi elevati non sempre correlati alla dimensione del budget di spesa, ma anche alla circostanza che le piccole imprese, nella loro generalità, sono piuttosto restie ad inserire al proprio interno persone con funzioni dirigenziali, una cautela che ha origine, soprattutto, nella spiccata tendenza del piccolo imprenditore ad accentrare su di sè (o al massimo sui componenti della propria famiglia) tutte le principali funzioni direttive e di responsabilità.
La presenza di questo elemento, cioè la scarsa attenzione verso le figure manageriali rappresenta un limite decisivo della possibilità dell'impresa di svilupparsi e di sfruttare eventuali opportunità esterne favorevoli.

Il problema dell'accentramento imprenditoriale costituisce infatti in molte piccole imprese un rilevante fattore di debolezza, in quanto la natura dell'azienda fortemente centrata sulla figura dell'imprenditore o sulla sua famiglia costituisce un ostacolo estrinseco alle sue possibilità di sviluppo e sulle sue prospettive di competitività, in quanto determina una sensibile difficoltà nello sviluppo di forme di collaborazione strutturata che portino alla "creazione di sistemi e di network di imprese".

La piccola impresa nasce e si consolida normalmente sulla base di una profonda competenza relativa al prodotto ed al processo produttivo; in linea generale, è notevole anche la conoscenza del mercato di riferimento. Si manifestano invece particolarmente deboli le competenze più specificamente gestionali: in particolare, l'orientamento strategico, il marketing, l'organizzazione di vendita e commerciale, la gestione finanziaria, la logistica ed i processi di intelligence.

Si tratta in conclusione di operare su due obiettivi idonei a favorire un progetto di innesto.

1. Sensibilizzazione imprenditori e dirigenti MPMI

Attraverso meeting fisici e virtuali renderli consapevoli della necessità per le MPMI di utilizzare strumenti avanzati di organizzazione, marketing, risorse umane, amministrazione e ricerca e sviluppo. Sfatare il mito dell’impossibilità di adottare strumenti complessi adatti solo a grandi imprese.

2. Sensibilizzazione manager e professional

Attraverso meeting fisici e virtuali renderli consapevoli della necessità di adattare le proprie conoscenze ed esperienze alla esigenze delle MPMI, molto diverse da quelle delle grandi imprese. (Tras)formare Dirigenti e professional in imprenditori, rinunciando quindi al ruolo di impiegati o consulenti pagati ad ore e senza responsabilità per i risultati, in grado di utilizzare strumenti avanzati di organizzazione, marketing, risorse umane, amministrazione e ricerca e sviluppo adattandoli alla realtà delle MPMI.



Su questa vision si sta già costituendo un gruppo di piccoli imprenditori e professional esperti decisi a portare avanti in maniera concreta, e senza scopo di lucro, il progetto innesto.

Caosmanagement.it e gem4pmi.com saranno, per ora, gli strumenti di diffusione.

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I problemi delle MPMI (la prima M sta per microimprese)

Il problema principale delle MPMI (micro, piccole e medie imprese), e forse l’unico da cui derivano tutti gli altri problemi, è certamente la crescita. Questo non vuol dire solo aumento del fatturato e del numero di addetti, anche questo è un problema derivato. Le MPMI hanno piuttosto il problema di migliorare la cultura aziendale, le strategie e l’operatività. Crescere quindi in qualità: le dimensioni cresceranno di conseguenza.



Il ragionamento è logico e molto semplice: se voglio far crescere il mio fatturato (l’unica cifra positiva, col segno più, nel mio conto economico, tutte le altre cifre hanno il segno meno) ho un’unica possibilità: far crescere la mia quota di mercato cioè essere più competitivo sul mio mercato, meglio ancora creare un nuovo mercato in cui essere, almeno all’inizio, il solo player. Per far crescere la mia quota di mercato avrò bisogno di modificare i miei processi interni, nel senso di renderli più efficienti (più produttività e quindi meno costi) e più efficaci (innovazione di prodotto e di processo). Di conseguenza l’attenzione va posta sui collaboratori che possono fornire queste prestazioni.



La selezione e la gestione delle risorse umane è dunque alla base per la crescita culturale, strategica ed operativa delle MPMI. Ed è proprio questa la difficoltà più grande che incontrano le MPMI. D’altra parte è ormai dimostrato che il valore di un’impresa è in media costituito per l’80% dagli asset intangibili (marchio, portafoglio clienti, quota di mercato e, non ultimo, conoscenza, competenza, motivazione e coinvolgimento delle risorse umane a tutti i livelli). La ricerca e la selezione di collaboratori operativi è complessa perché il personale specializzato è sempre più difficile da trovare e perché questa categoria tende ad essere attratta dalle grandi imprese. Ma ancora più complesso e difficile risulta l’inserimento di dirigenti nelle MPMI, per motivi interni ed esterni. I motivi interni sono la scarsa disponibilità finanziaria e psicologica dell’assetto proprietario delle MPMI. Si tratta della resistenza, in generale, dell’imprenditore ad inserire nell’impresa in funzione dirigenziale persone estranee alla propria famiglia. Per quanto riguarda i motivi esterni si tratta di modificare l’atteggiamento di manager che, provenendo da grandi imprese, spesso sanno dire cosa fare e non sanno e/o non vogliono fare. Si tratta quindi in molti casi di dirigenti che propendono legittimamente verso la professione di consulenti classici, che resistono al coinvolgimento legato a risultati.



In generale nelle MPMI esiste una competenza approfondita per quello che riguarda il prodotto ed il processo produttivo ed una buona conoscenza del mercato di riferimento. Esistono d’altra parte frequentemente forti carenze per quello che riguarda l'orientamento strategico, il marketing, l'organizzazione di vendita e commerciale, la gestione finanziaria, la logistica, la ricerca e sviluppo e la gestione delle risorse umane.



Infine, altro ostacolo alla crescita delle MPMI, è la difficoltà di reperimento di risorse finanziarie. Questa difficoltà dipende sia dal fatto che le Banche italiane, non abbastanza evolute, concedono affidamenti solo sulla base delle disponibilità finanziarie delle MPMI, sia dalla incapacità delle MPMI di dimostrare reali opportunità imprenditoriali.



Ciò premesso elenchiamo parte dei problemi che possono essere risolti, o almeno avviati a soluzione, con l’inserimento nelle MPMI di dirigenti esperti e coinvolti.



Passaggio generazionale
Gestione passaggio generazionale
Selezione e reclutamento collaborator
Gestione e sviluppo del personale e dell’organizzazione
Sviluppare nuova filosofia aziendale
Riorganizzazione del sistema
Generare nuove idee
Risolvere conflitti e problemi personali, di coppia e di gruppo
Risolvere i conflitti nei team
Facilitare la mediazione e la negoziazione
Fornire strumenti al counselling e alla supervisione
Migliorare la qualità della comunicazione interna ed esterna
Analizzare le implicazioni di nuovi contratti e proporre correttivi più vantaggiosi
Rendere più chiare le relazioni tra fornitori, azienda e clienti
Accelerare sui programmi di espansione, ristrutturazione, innovazione
Analisi e allineamento strategico delle attività, pianificazione & monitoraggio
Espansione commerciale
Valutare il lancio di un nuovo prodotto
Gestire processo Internazionalizzazione
Facilitare l’apprendimento di competenze interculturali e di nuove lingue
Ottimizzazione della logistica
Esaminare gli effetti dell’outsourcing
Accesso a fondi nazionali, europei, etc.
Gestione partnership strategiche
Ottimizzazione mix/prezzi prodotti
Introduzione moderni strumenti di gestione
Migliorare processi e qualità
SviluppoWeb marketing e social media marketing, 2.0 e 3.0.

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Conflitti organizzativi

Volendo tentare una definizione del termine conflitto organizzativo si può dire che, in generale, è l’interferenza intenzionale di una persona o di un gruppo nel raggiungimento di determinati obiettivi da parte di altri individui o gruppi. Pertanto se gli obiettivi delle due controparti sono incompatibili fra loro, il successo dell’uno comporta l’insuccesso dell’altro. Il conflitto non va confuso con la competizione, dove ciascuna delle due parti mira al successo senza per questo contrastare, entrando in conflitto, l’altra parte in gioco. Nella competizione ciascuno fa del proprio meglio senza per questo ostacolare gli altri.
Nel caso degli ambienti organizzativi, le interdipendenze presenti all’interno delle aziende le rendono più frequentemente teatro di conflitti che non di competizioni. I conflitti si manifestano all’interno dei rapporti di potere: semplificando possiamo dire che il potere è la capacità di ottenere che le cose vengano fatte nel modo desiderato. Pertanto l’interferenza rappresentata dal conflitto può sussistere solo come esercizio del potere. L’autorità può essere vista come fonte di potere e, di conseguenza, di possibile conflitto.
E’ abbastanza facile individuare quali sono le aree dell’organizzazione dove è probabile si manifesti un conflitto o dove esso si trovi allo stato “potenziale”. Più difficile è prevederne l’insorgere effettivo, cioè sapere quando e come il conflitto si accenderà. Il conflitto opera in modo dinamico attraverso stadi successivi e la causa scatenante può spesso essere di lievissima entità.

Si possono distinguere due tipi di origini, le origini organizzative e gli stati di conflittualità pregressa.
La natura dei conflitti, invece, è da ricercarsi sia nello scontro fra personalità diverse, sia nella ricerca dinamica di assetti di potere all’interno dei livelli e delle funzioni in cui si articola la struttura. Più in generale, si può affermare che alla base dei conflitti organizzativi esistono talvolta condizioni oggettive di differente mentalità, cultura, approccio al processo decisionale dovute alla suddivisione di responsabilità.
Abbiamo avuto modo di dire che la scomposizione degli obiettivi generali in sotto-obiettivi funzionali fra enti che operano in condizioni di interdipendenza e sequenzalità del flusso, rappresenta il presupposto per una eventuale conflittualità nei rapporti organizzativi orizzontali.
Per fare un esempio, un obiettivo di fatturato e di redditività delle vendite chiama in causa le funzioni Acquisti (per il costo delle materie approvvigionate), Produzione (per la corretta ed efficiente gestione dei fattori tecnico-produttivi), Marketing (per la definizione del prodotto, la scelta dei canali e la fissazione del prezzo), Commerciale (per le vendite e la penetrazione operativa sui clienti, Amministrazione (per la politica dei pagamenti-incassi). Ogni responsabile di funzione può vedersi assegnare verticalmente gli obiettivi di funzione, ma è evidente che in condizioni di difficoltà o di imprevisti esterni la suddivisione dell’onere e del contributo risolutivo viene affidata alle capacità di trattativa e di relazione dei singoli responsabili.
Le basi e le chiavi di lettura per la comprensione e la soluzione dei conflitti possono essere ricercate in una serie ricorrente di fattori. Situazioni di potenziale conflitto possono manifestarsi ad esempio:
- nel dualismo esistente fra responsabili anziani, psicologicamente più pronti al mantenimento dello status quo, e responsabili giovani, più istintivamente favorevoli all’innovazione ed al cambiamento;
- fra organi di linea ed organi di staff per l’interpretazione del ruolo e la volontà di influenzare scelte ed attivare cambiamenti;
- fra responsabili di unita interne all’ambiente ( Produzione) ed unità di confine con l’esterno (Commerciale, Acquisti), portate ad operare e conservare stabilità i primi, propensi ad orientarsi in funzione delle condizioni esterne i secondi.

Il giudizio generalmente negativo che viene attribuito ai conflitti è dovuto alla natura storicamente distruttiva da essi manifestata. Da un punto di vista etico, il conflitto è il modo attraverso cui si attuano i cambiamenti e con cui i gruppi di minoranza manifestano la propria avversione e opposizione verso la maggioranza e lo status quo.
Positivamente percepiti, i conflitti sono presupposti per evidenziare i problemi e sollecitarne la soluzione attraverso un processo di cambiamento. Negativamente intesi, i conflitti sono fonte di inefficienza per mancanza di cooperazione nel processo di produzione economica e vanno soffocati in quanto fonte di ostilità e di instabilità interna.

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