Outsourcing: come applicarlo
Da più di trent'anni le imprese ricorrono all'outsourcing per risolvere alcuni dei loro problemi e per tentare di ridurre i costi di gestione; questa tendenza continua a crescere con l'ulteriore processo di terziarizzazione della nostra economia.
Il ricorso all'outsourcing, però, sta diventando sempre più importante per le aziende e da elemento di supporto si sta trasformando in fattore strategico di grande rilevanza, prevedendo l'esternalizzazione di un intero processo aziendale (Business Process Outsourcing).
La società che fornisce il servizio di outsourcing, non avrà più in gestione una singola attività, ma un intero processo, compresa la gestione finanziaria e delle risorse umane; questa modalità, il BPO, prevede la condivisione degli obiettivi e delle responsabilità, in questo modo il fornitore è elevato a livello di partner della società committente ed è spinto a lavorare meglio ed in maniera ancora più efficace.
L'outsourcing permette di:
ridurre costi;
sviluppare e controllare le strategie rapidamente;
esternalizzare le attività per incrementare l'efficacia;
snellire i processi interni.
L’outsourcing: moda o necessità?
L’outsourcing, contrazione dell’inglese “outside resourcing”, è in Italia, in molti casi una moda, in molti altri un pessimo servizio, in pochi casi un buon esempio di corretta gestione. Tuttavia, sarebbe estremamente sbagliato ritenere che non funzioni, ma è altrettanto doveroso dire che fino ad oggi, poche realtà hanno tratto un reale vantaggio nell’affidare all’esterno una attività o un servizio non strategico.
Credo che un po’ di confusione e di malinterpretazione ci sia stata sia da parte delle aziende, sia da parte delle strutture che hanno erogato il servizio. Intanto definiamo bene il concetto: Outsourcing vuol dire affidare un’attività non strategica in gestione esterna. Ovvero, tutte le attività di gestione svolte, per un periodo di tempo prolungato (diversi anni) e definito a livello contrattuale, da un operatore esterno all’azienda cliente.
E’ un accordo, stipulato tra committente e fornitore (outsourcer), in base al quale il primo appalta al secondo una funzione o un servizio, che in precedenza realizzava al proprio interno. I vantaggi che un’azienda otterrebbe, affidando quei servizi o funzioni non strategiche in outsourcing, sono molti e tutti significativi.
Ad esempio, esternalizzare alcuni servizi consente, alla azienda committente, di concentrarsi solo sul proprio "core business", cioè su tutte le attività in grado di generare direttamente profitti, lasciando all'outsourcer il compito di gestire le funzioni di supporto.
Permette all'azienda di fruire di un servizio con elevati standard qualitativi (perché erogato da specialisti) e a costi competitivi. Riduce l'esposizione finanziaria necessaria all'acquisto e all'adeguamento di attrezzature e tecnologia necessarie per lo svolgimento di tutte quelle attività considerate di supporto.
Negli anni 80, in Inghilterra, io ero lì, tutti parlavano dell’outsourcing come del nuovo mercato, a cui tutti dovevamo abituarci al più presto. Era quello il periodo peggiore per la Pubblica Amministrazione inglese che, costantemente sotto pressione per bassa qualità del servizio e costi gestionali altissimi, si interrogava su tutte le possibili soluzioni. Le soluzioni potevano essere di due tipi:
uno interno – con piani di aggiornamento e di miglioramento destinati ad elevare la qualità del servizio comprimendo il più possibile i costi gestionali;
uno esterno – affidando fuori alcuni servizi ritenuti non strategici.
Prevalse di gran lunga la seconda ipotesi, e quindi di li a poco assistemmo ad una radicale trasformazione dei Ministeri inglesi. Nacquero le “Next Steps Agencies” con il compito di gestire le funzioni operative dei Ministeri al fine di consentire ai Ministeri di concentrarsi meglio sulla formulazione delle politiche. Molti ministeri, vennero così scorporati affidando alle Agenzie il compito di ottenere risultati.
L’impressione avuta, è che sul piano dei risultati sussistono pesanti dubbi che queste agenzie abbiano comportato miglioramenti. Forse perché create in prevalenza con il personale che prima prestava servizio nell’amministrazione e quindi, ma è solo la mia impressione, poco abituati a ri-pensare costantemente il proprio lavoro col l’obiettivo del miglioramento continuo. Al contrario, alcune di esse hanno recepito l’idea del cambiamento e i Chef Executive, reclutati nel settore privato, hanno trasformato le modalità di gestione del lavoro, generando ragguardevoli guadagni di efficienza.
In Italia la situazione non è diversa. L’approccio all’outsourcing è, a mio parere, inadeguata. La delega ad un soggetto esterno, infatti, è uno strumento incredibilmente potente del quale bisogna conoscere le potenzialità ma anche i rischi. Non si può pensare infatti di gestire un progetto di outsourcing con le modalità secondo le quali si gestiscono gli abituali rapporti cliente-fornitore.
Forse il segreto per un buon Outsourcing è concepire il rapporto con tre soggetti coinvolti: azienda committente – terza parte – outsourcer. Le mie sensazioni ed esperienze in gestione aziendale mi inducono a ritenere possa essere profittevole concepire l’outsourcing con un terzo elemento, in sostanza con un “arbitro”. Un soggetto che preposto alla gestione ed alla regolamentazione del rapporto di Outsourcing abbia come obiettivo e come suo “core business” l’ottenimento degli obiettivi fissati contrattualmente.
E’ questo il punto focale dell’outsourcing: il raggiungimento di un obiettivo. Ed in questo, il ruolo dell’”arbitro” può essere estremamente importante. Nella definizione degli obiettivi, ad esempio, ed ancora, nella individuazione dei parametri da misurare per verificare l’effettivo raggiungimento dei risultati.
L’arbitro, che sia una società di consulenza o un consulente free lance, sa benissimo quanto sia importante il monitoraggio quotidiano per tenere in rotta la nave. Anche perché dal raggiungimento dell’obiettivo dipenderà, la soddisfazione dell’azienda committente e dell’outsourcer, ma anche, anzi soprattutto, la sua riconferma. Quindi, starà ben attento al raggiungimento dell’obiettivo. Nella fase di individuazione dell’obiettivo si gioca, in buona parte, la partita. Non serve a nessuno avere dei partner compiacenti e disposti a tutto pur di fatturare qualche milione. Lo spirito dell’azienda committente, la sua missione e tutto quello che ne consegue, deve essere a conoscenza dell’outsourcer e da questo accettato.
Se l’efficienza in ogni area fa parte della filosofia dell’azienda committente, la stessa efficienza si deve pretendere dall’outsourcer, al quale si delega l’esecuzione del servizio ma non la responsabilità nei confronti del cliente. E infatti, ricordiamocelo sempre, al nostro cliente non interessa chi svolge il servizio, ma solo che gli accordi presi con noi, e non con l’outsourcer, vengano rispettati, soddisfacendo così le proprie aspettative.
Il ricorso all'outsourcing, però, sta diventando sempre più importante per le aziende e da elemento di supporto si sta trasformando in fattore strategico di grande rilevanza, prevedendo l'esternalizzazione di un intero processo aziendale (Business Process Outsourcing).
La società che fornisce il servizio di outsourcing, non avrà più in gestione una singola attività, ma un intero processo, compresa la gestione finanziaria e delle risorse umane; questa modalità, il BPO, prevede la condivisione degli obiettivi e delle responsabilità, in questo modo il fornitore è elevato a livello di partner della società committente ed è spinto a lavorare meglio ed in maniera ancora più efficace.
L'outsourcing permette di:
ridurre costi;
sviluppare e controllare le strategie rapidamente;
esternalizzare le attività per incrementare l'efficacia;
snellire i processi interni.
L’outsourcing: moda o necessità?
L’outsourcing, contrazione dell’inglese “outside resourcing”, è in Italia, in molti casi una moda, in molti altri un pessimo servizio, in pochi casi un buon esempio di corretta gestione. Tuttavia, sarebbe estremamente sbagliato ritenere che non funzioni, ma è altrettanto doveroso dire che fino ad oggi, poche realtà hanno tratto un reale vantaggio nell’affidare all’esterno una attività o un servizio non strategico.
Credo che un po’ di confusione e di malinterpretazione ci sia stata sia da parte delle aziende, sia da parte delle strutture che hanno erogato il servizio. Intanto definiamo bene il concetto: Outsourcing vuol dire affidare un’attività non strategica in gestione esterna. Ovvero, tutte le attività di gestione svolte, per un periodo di tempo prolungato (diversi anni) e definito a livello contrattuale, da un operatore esterno all’azienda cliente.
E’ un accordo, stipulato tra committente e fornitore (outsourcer), in base al quale il primo appalta al secondo una funzione o un servizio, che in precedenza realizzava al proprio interno. I vantaggi che un’azienda otterrebbe, affidando quei servizi o funzioni non strategiche in outsourcing, sono molti e tutti significativi.
Ad esempio, esternalizzare alcuni servizi consente, alla azienda committente, di concentrarsi solo sul proprio "core business", cioè su tutte le attività in grado di generare direttamente profitti, lasciando all'outsourcer il compito di gestire le funzioni di supporto.
Permette all'azienda di fruire di un servizio con elevati standard qualitativi (perché erogato da specialisti) e a costi competitivi. Riduce l'esposizione finanziaria necessaria all'acquisto e all'adeguamento di attrezzature e tecnologia necessarie per lo svolgimento di tutte quelle attività considerate di supporto.
Negli anni 80, in Inghilterra, io ero lì, tutti parlavano dell’outsourcing come del nuovo mercato, a cui tutti dovevamo abituarci al più presto. Era quello il periodo peggiore per la Pubblica Amministrazione inglese che, costantemente sotto pressione per bassa qualità del servizio e costi gestionali altissimi, si interrogava su tutte le possibili soluzioni. Le soluzioni potevano essere di due tipi:
uno interno – con piani di aggiornamento e di miglioramento destinati ad elevare la qualità del servizio comprimendo il più possibile i costi gestionali;
uno esterno – affidando fuori alcuni servizi ritenuti non strategici.
Prevalse di gran lunga la seconda ipotesi, e quindi di li a poco assistemmo ad una radicale trasformazione dei Ministeri inglesi. Nacquero le “Next Steps Agencies” con il compito di gestire le funzioni operative dei Ministeri al fine di consentire ai Ministeri di concentrarsi meglio sulla formulazione delle politiche. Molti ministeri, vennero così scorporati affidando alle Agenzie il compito di ottenere risultati.
L’impressione avuta, è che sul piano dei risultati sussistono pesanti dubbi che queste agenzie abbiano comportato miglioramenti. Forse perché create in prevalenza con il personale che prima prestava servizio nell’amministrazione e quindi, ma è solo la mia impressione, poco abituati a ri-pensare costantemente il proprio lavoro col l’obiettivo del miglioramento continuo. Al contrario, alcune di esse hanno recepito l’idea del cambiamento e i Chef Executive, reclutati nel settore privato, hanno trasformato le modalità di gestione del lavoro, generando ragguardevoli guadagni di efficienza.
In Italia la situazione non è diversa. L’approccio all’outsourcing è, a mio parere, inadeguata. La delega ad un soggetto esterno, infatti, è uno strumento incredibilmente potente del quale bisogna conoscere le potenzialità ma anche i rischi. Non si può pensare infatti di gestire un progetto di outsourcing con le modalità secondo le quali si gestiscono gli abituali rapporti cliente-fornitore.
Forse il segreto per un buon Outsourcing è concepire il rapporto con tre soggetti coinvolti: azienda committente – terza parte – outsourcer. Le mie sensazioni ed esperienze in gestione aziendale mi inducono a ritenere possa essere profittevole concepire l’outsourcing con un terzo elemento, in sostanza con un “arbitro”. Un soggetto che preposto alla gestione ed alla regolamentazione del rapporto di Outsourcing abbia come obiettivo e come suo “core business” l’ottenimento degli obiettivi fissati contrattualmente.
E’ questo il punto focale dell’outsourcing: il raggiungimento di un obiettivo. Ed in questo, il ruolo dell’”arbitro” può essere estremamente importante. Nella definizione degli obiettivi, ad esempio, ed ancora, nella individuazione dei parametri da misurare per verificare l’effettivo raggiungimento dei risultati.
L’arbitro, che sia una società di consulenza o un consulente free lance, sa benissimo quanto sia importante il monitoraggio quotidiano per tenere in rotta la nave. Anche perché dal raggiungimento dell’obiettivo dipenderà, la soddisfazione dell’azienda committente e dell’outsourcer, ma anche, anzi soprattutto, la sua riconferma. Quindi, starà ben attento al raggiungimento dell’obiettivo. Nella fase di individuazione dell’obiettivo si gioca, in buona parte, la partita. Non serve a nessuno avere dei partner compiacenti e disposti a tutto pur di fatturare qualche milione. Lo spirito dell’azienda committente, la sua missione e tutto quello che ne consegue, deve essere a conoscenza dell’outsourcer e da questo accettato.
Se l’efficienza in ogni area fa parte della filosofia dell’azienda committente, la stessa efficienza si deve pretendere dall’outsourcer, al quale si delega l’esecuzione del servizio ma non la responsabilità nei confronti del cliente. E infatti, ricordiamocelo sempre, al nostro cliente non interessa chi svolge il servizio, ma solo che gli accordi presi con noi, e non con l’outsourcer, vengano rispettati, soddisfacendo così le proprie aspettative.
Etichette: core business, esternalizzazione, gestione, management, outsourcing, PMI
0 Comments:
Posta un commento
<< Home