consulenza manageriale

lunedì, agosto 15, 2011

Innestare conoscenze e competenze nelle MPMI

Le metafore con cui di solito ci si riferisce all’azienda sono tante, poiché è vasta, fin troppo, la letteratura sull’argomento. Tutti ne parlano, ne scrivono e teorizzano, tranne quelli che la vivono giorno per giorno e cercano di risolverne i problemi. La più interessante è forse la metafora che considera l’azienda come un albero: le radici, il tronco, i rami, le foglie e i frutti.



Quindi parliamo di innesto.

L'innesto è un metodo con il quale si ottiene un nuovo individuo saldando tra di loro due o più varietà di piante.

La tecnica dell'innesto consiste, nella pratica, nel far saldare la parte viva di una pianta su di un altra pianta provvista di radici.

La porzione di pianta che verrà ospitata andrà a costituire la parte superiore, del futuro individuo; il tronco, invece, costituirà la base che, con le proprie radici, procurerà il nutrimento e fungerà da sostegno.

Perchè le piante vengono innestate? I motivi sono assai vari, per esempio, si può innestare una pianta semplicemente per salvarla da morte certa, salvando la parte non colpita dalla malattia ed innestandola su un individuo sano, oppure per creare una nuova specie, per migliorare le caratteristiche di un determinato tipo di pianta, per consentire ad una pianta di poter sopravvivere fornendole migliori caratteristiche che si adattino all'ambiente e così via...

Insomma per dare vita ad un nuovo e migliore individuo.

Un innesto, per poter andare a buon fine, deve avvenire in particolari condizioni e deve essere eseguito secondo determinate modalità che, se non attuate, porterebbero quasi certamente alla morte delle due parti.

Per la buona riuscita di un innesto è infatti necessario che le due piante siano botanicamente affini, ma questo non vuol dire che debbano per forza appartenere alla stessa specie; un innesto può infatti essere fatto tra specie e varietà dello stesso genere così come tra generi diversi della stessa famiglia od anche tra piante appartenenti a famiglie diverse ma con le stesse caratteristiche esteriori e comportamentali.

A questo punto sorvoliamo sulle varie tecniche d’innesto. Anche se la terminologia è a tratti interessante e a volte curiosa e divertente. Diremo solo che esistono due tipi di innesto che si suddividono secondo le diverse modalità e tecniche, il primo è l'innesto a gemma in cui vengono utilizzate le gemme provenienti da rami, il secondo è invece il cosiddetto innesto a marza che avviene utilizzando un intera porzione di ramo dotata di numerose e particolari gemme.

L'innesto a gemma può essere: a toppa, a pezza o a tassello, ad anello o a zufolo. L'innesto a marza può invece essere: a spacco comune, a sperone, a cavallo, a spacco terminale.

Fuori di metafora, ora, stiamo parlando di azienda, tronco, su cui innestiamo un dirigente, gemma, portatore di conoscenza e competenza. Non stiamo parlando dell’inserimento in azienda di un consulente ma di un vero e proprio innesto in azienda di un dirigente esperto e competente, e questo vuol dire affrontare diversi problemi da risolvere con metodo. D’altra parte anche per un innesto in agricoltura è necessario operare con una certa metodologia per essere sicuri che esso vada a buon fine.

Si tratta quindi di preparare sia l’azienda a ricevere l’innesto sia il dirigente a diventare un buon innesto portatore di frutti in modo da creare un nuovo soggetto.

Il problema principale delle MPMI (micro, piccole e medie imprese) è certamente la crescita. Le MPMI hanno quindi il problema di migliorare la cultura aziendale, le strategie e l’operatività. Crescere quindi in qualità: le dimensioni cresceranno di conseguenza.

Il ragionamento è logico e molto semplice: se voglio far crescere il mio fatturato (l’unica cifra positiva, col segno più, nel mio conto economico, tutte le altre cifre hanno il segno meno) ho un’unica possibilità: far crescere la mia quota di mercato cioè essere più competitivo sul mio mercato, meglio ancora creare un nuovo mercato in cui essere, almeno all’inizio, il solo player. Per far crescere la mia quota di mercato avrò bisogno di modificare i miei processi interni, nel senso di renderli più efficienti (più produttività e quindi meno costi) e più efficaci (innovazione di prodotto e di processo). Di conseguenza l’attenzione va posta sui collaboratori che possono fornire queste prestazioni.

La ricerca e la selezione di collaboratori operativi è complessa perché il personale specializzato è sempre più difficile da trovare e perché questa categoria tende ad essere attratta dalle grandi imprese. Ma ancora più complesso e difficile risulta l’inserimento di dirigenti nelle MPMI, per motivi interni ed esterni. I motivi interni sono la scarsa disponibilità finanziaria e psicologica dell’assetto proprietario delle MPMI. Si tratta della resistenza, in generale, dell’imprenditore ad inserire nell’impresa in funzione dirigenziale persone estranee alla propria famiglia. Per quanto riguarda i motivi esterni si tratta di modificare l’atteggiamento di manager che, provenendo da grandi imprese, spesso sanno dire cosa fare e non sanno e/o non vogliono fare. Si tratta quindi in molti casi di dirigenti che propendono legittimamente verso la professione di consulenti classici, che resistono al coinvolgimento legato a risultati.

Della azienda e dei suoi problemi abbiamo già detto (vedi).

In sintesi i problemi delle MPMI si possono indicare in:

1) una cultura d'impresa spesso eccessivamente focalizzata sui soli fattori produttivi e non sempre adeguata a cogliere in maniera efficace gli
stimoli provenienti dall'esterno;

2) la difficoltà a disporre della capacità finanziaria atta a sostenere in modo adeguato la crescita.

Il problema della difficoltà di reperimento delle figure manageriali deriva dai costi elevati non sempre correlati alla dimensione del budget di spesa, ma anche alla circostanza che le piccole imprese, nella loro generalità, sono piuttosto restie ad inserire al proprio interno persone con funzioni dirigenziali, una cautela che ha origine, soprattutto, nella spiccata tendenza del piccolo imprenditore ad accentrare su di sè (o al massimo sui componenti della propria famiglia) tutte le principali funzioni direttive e di responsabilità.
La presenza di questo elemento, cioè la scarsa attenzione verso le figure manageriali rappresenta un limite decisivo della possibilità dell'impresa di svilupparsi e di sfruttare eventuali opportunità esterne favorevoli.

Il problema dell'accentramento imprenditoriale costituisce infatti in molte piccole imprese un rilevante fattore di debolezza, in quanto la natura dell'azienda fortemente centrata sulla figura dell'imprenditore o sulla sua famiglia costituisce un ostacolo estrinseco alle sue possibilità di sviluppo e sulle sue prospettive di competitività, in quanto determina una sensibile difficoltà nello sviluppo di forme di collaborazione strutturata che portino alla "creazione di sistemi e di network di imprese".

La piccola impresa nasce e si consolida normalmente sulla base di una profonda competenza relativa al prodotto ed al processo produttivo; in linea generale, è notevole anche la conoscenza del mercato di riferimento. Si manifestano invece particolarmente deboli le competenze più specificamente gestionali: in particolare, l'orientamento strategico, il marketing, l'organizzazione di vendita e commerciale, la gestione finanziaria, la logistica ed i processi di intelligence.

Si tratta in conclusione di operare su due obiettivi idonei a favorire un progetto di innesto.

1. Sensibilizzazione imprenditori e dirigenti MPMI

Attraverso meeting fisici e virtuali renderli consapevoli della necessità per le MPMI di utilizzare strumenti avanzati di organizzazione, marketing, risorse umane, amministrazione e ricerca e sviluppo. Sfatare il mito dell’impossibilità di adottare strumenti complessi adatti solo a grandi imprese.

2. Sensibilizzazione manager e professional

Attraverso meeting fisici e virtuali renderli consapevoli della necessità di adattare le proprie conoscenze ed esperienze alla esigenze delle MPMI, molto diverse da quelle delle grandi imprese. (Tras)formare Dirigenti e professional in imprenditori, rinunciando quindi al ruolo di impiegati o consulenti pagati ad ore e senza responsabilità per i risultati, in grado di utilizzare strumenti avanzati di organizzazione, marketing, risorse umane, amministrazione e ricerca e sviluppo adattandoli alla realtà delle MPMI.



Su questa vision si sta già costituendo un gruppo di piccoli imprenditori e professional esperti decisi a portare avanti in maniera concreta, e senza scopo di lucro, il progetto innesto.

Caosmanagement.it e gem4pmi.com saranno, per ora, gli strumenti di diffusione.

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lunedì, dicembre 21, 2009

Apprendere (oggi) è facile

da Caosmanagement.it n°47 dicembre 2009

Tutti abbiamo la capacità di acquisire conoscenza ed apprendere nel corso della nostra vita. Non sembri retorico dire che ciascuno di noi ha la possibilità di crescere facendo della propria vita un percorso di apprendimento ed acquisendo nuova conoscenza in ogni momento.

In questi ultimi anni internet ci ha reso molto più facile apprendere, iniziando un percorso che nell’opinione di molti potrà presto provocare una trasformazione radicale dell’apprendimento formale (ginnasio, liceo, università), fino alla abolizione della scuola così come la intendiamo oggi. Dell’MBA abbiamo già detto.

Riferendoci ora ad un uso “utilitaristico” dell’apprendimento ci rivolgeremo a coloro che hanno la necessità di conoscere più cose per crescere e progredire nella propria attività o per affrontare problemi nuovi o iniziare una nuova attività.
Le metodologie classiche per l’apprendimento sono oggi così definite:

Apprendere lavorando (training on the job): necessario affiancamento alle persone in fase di inserimento, di cambiamento nella forma di lavorare, di nuove implementazioni, di innovazione dei processi.


Formazione in aula: occasione d’incontro non gerarchico delle persone che lavorano con uno scopo specifico, programmato, interattivo e valutato nel tempo. I temi possono essere diversi come diverse possono essere le tecniche usate in aula.


Formazione a distanza: può essere utilizzata per coinvolgere più persone
contemporaneamente, con l’utilizzazione di metodologie diverse come la practice simulation, Business Games e Problem Based Learning.

Le prime due sono ben note e presentano diversi vantaggi e molti svantaggi. Della terza metodologia diremo più avanti.
Vediamo ora quali sono le fasi da seguire per acquisire conoscenza via internet in maniera efficace ed efficiente.

Inserire in un motore di ricerca la parola o la frase che indichi l’argomento che vogliamo conoscere.
Leggere dai diversi punti di vista cercando prima di tutto su giornali o riviste accademiche o scientifiche on-line e dai blog.
Controllare accuratamente quello che abbiamo trovato tenendo presente che non sempre quello che viene pubblicato è la verità.
Partecipare a forum di discussione per condividere quello che abbiamo appreso.

Sulla formazione a distanza abbiamo già avuto modo di scrivere sui precedenti numeri di questa rivista. Ce ne siamo occupati teoricamente e praticamente sin dai suoi esordi fin dalla seconda metà degli anni ’90. All’inizio si trattava solo di utilizzare il web come un nuovo supporto di un libro di esercizi con in fondo le soluzioni. Un procedimento quindi scomodo e noioso.

La situazione oggi è notevolmente cambiata.

Ecco dunque alcuni motivi per cui la formazione a distanza diventa sempre più interessante.

1. Grande scelta
Esistono ora online molti programmi tra cui scegliere.
2. Flessibilità
Permette di apprendere senza trascurare altri impegni.
3. Opportunità di Networking
E’ possible entrare in contatto con altri studenti.
4. Tempi
Molti programmi online permettono di studiare organizzando il proprio tempo.
5. Risparmio
La formazione online costa meno di altre tipologie di formazione.
6. Nessuna necessità di muoversi
Nessuno spreco di tempo e costi di trasporto.
7. Contenuti di alto livello
Alcuni programmi online permettono il contatto diretto con professori di alto livello accademico o di esperienza.
8. Efficacia
Recenti studi hanno permesso di constatare che lo studio online è più efficace di
quello in una aula tradizionale.
9. Contatto
Alcuni programmi online permettono il contatto diretto e personale con i docenti.

In sintesi la formazione a distanza permette ai partecipanti di gestire il proprio tempo in maniera molto più completa che la partecipazione ad un tradizionale corso in aula e permette soprattutto un contatto diretto con i docenti.

Per quanto concerne le metodologie più efficaci adoperate nella formazione a distanza abbiamo citato practice simulation e Business Games .

L’altra metodologia interessante e che fornisce grandi risultati è il Problem Based Learning (PBL).

Questa metodologia si basa sulla multidisciplinarietà: agli studenti viene sottoposto un problema concreto da risolvere acquisendo, con l’assistenza del docente, tutte le conoscenze necessarie.

Ma di questo diremo in un prossimo articolo.

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giovedì, dicembre 03, 2009

Scrap the MBA

da CaosManagement n.43

E’ giunto il momento di abolire i Master in Business Administration?

Per amor di patria non parleremo delle scuole dei manager italiani, da cui vengono fuori personaggi che non sanno che Napoleone ha perso a Waterloo o che la Libia è stata una colonia dell’Italia, che spesso non sanno distinguere tra ha (verbo avere) ed a (preposizione), che applaudono entusiasti se qualcuno gli dice che la crisi non esiste ed è solo un fatto psicologico, che sembrano fatti con lo stampino, la testa rasata, con la loro arroganza, il loro vestitino blu, la cravatta di marinelli ed il loro telefonino ultima moda da usare con fragore nella prima classe della freccia rossa.

Parleremo invece della importante discussione che si sta svolgendo a livello internazionale sugli MBA, i Master in Business Administration.
E’ nato anche un nuovo termine: “MBA clone” (Dan Herman). Molti manager frequentano gli stessi corsi, studiano sugli stessi libri, leggono gli stessi giornali e le stesse riviste, partecipano agli stessi convegni ed assistono alle stesse conferenze. In questo modo assumono lo stesso atteggiamento e lo stesso vocabolario nei confronti del business. Diventano degli MBA clone. Naturalmente non tutti diventano MBA clone e Dan Herman propone un questionario per verificare se lo si è diventato ed una serie di suggerimenti per “declonizzarsi”. Alcuni suggerimenti sono assolutamente accettabili, quali per esempio quello di abbandonare la strategia a lungo termine, di non confondere obiettivi e strategia, altri andrebbero discussi in maniera più approfondita come quello di abbandonare la market segmentation per la contextual segmentation oppure rinunciare alla vision. Henry Mintzberg critica aspramente l’MBA. Riportiamo qui parte di una recente intervista alla CNN:

CNN: Quale dovrebbe essere l'obiettivo dell’MBA?

MINTZBERG: Creare migliori manager che creino migliori organizzazioni che creino un mondo migliore.

CNN: Il management può essere insegnato?

MINTZBERG: No, è possibile migliorare la qualità o le caratteristiche dei manager, non è possibile creare i manager in aula..... Quello che non si può fare è insegnare la gestione a qualcuno che non è un manager, come non si può insegnare un intervento chirurgico a chi non è un chirurgo. .............. Quello che ho contro gli MBA è il fatto che vieni fuori da un programma di MBA di due anni, non avendo mai fatto il manager, e presumi che sei pronto per assumere responsabilità di manager. Non solo lo presumi, ma è la stessa scuola che te lo assicura, e questo è profondamente sbagliato. ........ io considero la gestione, il management, come arte, artigianato e scienza. Si tratta di una pratica che si basa su arte, artigianato e scienza e c'è un sacco di artigianato, nel senso di esperienza, che comporta intuizione, creatività, visione e vi è l'uso della scienza, della tecnica e dell’analisi. Ma i programmi MBA sono così orientati prevalentemente verso la parte analitica che vengono fuori quelli che io chiamo “calculating managers” e penso che stanno causando problemi ovunque................................... Nelle scuole di management si da molta importanza ai case study. Si basano sul fatto di leggere una ventina di pagine di un’impresa di cui probabilmente non hai sentito mai parlare ed il giorno dopo si va in aula a parlarne. Così si stanno formando persone che pensano: datemi una ventina di pagine di relazione ed io vi do la strategia. ...............non vi è alcuna esperienza diretta, nessuno ha mai incontrato il cliente, non è mai stato nelle fabbriche, non conosce i prodotti, nessuno sa nulla. E sono tutti a parlare di ciò che la società è tenuta a fare, perché hanno trascorso un paio d'ore la sera prima a leggere il caso....................

Ray Williams in un articolo per il Sounding Board, rivista del Vancouver Board of Trade, rileva che per la maggior parte i programmi delle scuole di business sono orientati alla teoria ed utilizzano gli strumenti tradizionali: case studies, lezioni, film e discussioni. Il problema, secondo Ray Williams, è che i docenti di queste scuole sono scelti non sulla base della loro esperienza di leader o manager, ma sulla base delle ricerche pubblicate.
Kelly Holland in un articolo sul New York Times rileva che le scuole di business sono troppo teoriche e con pochi contatti con il mondo reale, agli studenti si insegna come affrontare problemi complessi con soluzioni semplici e rapide, l’unico obiettivo è quello di massimizzare il valore delle azioni, senza nessun riferimento all’etica ed ai problem sociali.
Anche Rakesh Khurana pensa che le scuole di business formano dei manager il cui unico obiettivo è quello di far crescere il valore della azioni e che, quindi, sono dei semplici agenti della proprietà, con tutto quello che deriva da questa idea.
In un articolo nel London Times, Philip Broughton è molto più feroce ed afferma che se Robespierre rinascesse e cercasse persone da ghigliottinare potrebbe cominciare da quelli che dopo il proprio nome inseriscono la sigla MBA: questa categoria di banchieri, finanzieri e consulenti distruttori di valore ha fatto molti più danni di qualsiasi altra categoria di persone. Broughton rileva anche che se facciamo una lista dei più importanti imprenditori nella storia recente, da Larry Page e Sergey Brin di Google, Bill Gates di Microsoft, a Michael Dell, Richard Branson, Lakshmi Mittal, non troviamo un solo MBA. Se invece guardiamo dalla Royal Bank of Scotland a Merrill Lynch, da HBOS a Lehman Brothers, troviamo le impronte digitali di tanti MBA.

Lynda Gratton prevede, molto ottimisticamente, che saranno gli studenti a provocare il cambiamento nelle business schools. La sua opinione è che coloro che si iscrivono a queste scuole o che affrontano un MBA sono oggi a conoscenza, per fonti fuori dall’ambiente accademico, che esistono altri modelli di impresa, più egualitari e che esistono quelli che lei indica come “social entrepreneurs”.

Quest’ultima nota di ottimismo si basa sul fatto che la diffusione ed il facile accesso alle informazioni che riguardano le imprese è ormai un fatto compiuto nei paesi in cui esiste una trasparenza e dove i media sono effettivamente liberi da vincoli politici o addirittura di ownership. Speriamo che questo possa avvenire anche da noi.

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L’imprenditore

da CaosManagement n.44

A norma dell'articolo 2082 del Codice Civile (Libro V, Titolo II, Capo I, Sezione I) si definisce imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.

Di conseguenza l'impresa, sotto il profilo giuridico, è un'attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
Intorno al Cinquecento appaiono le prime citazioni del termine imprenditore. Con questo nome si indicava il capitano di ventura che ingaggiava truppe per servire principi e potenti. Solo nel Settecento la definizione d'imprenditore assume i connotati moderni (nel campo agricolo il proprietario terriero, in quello manifatturiero chi produceva merci da distribuire, in quello pubblico l'impresario che realizzava infrastrutture). Nel 1803 nel suo Traité d'économie politique Jean Baptist Say descrisse il ruolo centrale dell’imprenditore nel mondo del capitale, della produzione, del commercio e del consumo e nel 1912 Joseph Schumpeter si occupò della funzione di innovazione nei fattori produttivi apportata dalla figura dell'imprenditore.

Al giorno d’oggi e secondo la norma:

può essere imprenditore sia una persona fisica che una persona giuridica;
per attività economica si intende ogni attività volta ad utilizzare i fattori produttivi (capitale, lavoro e materie prime) per ottenere un prodotto (bene o servizio):
i beni e servizi che costituiscono il prodotto dell'impresa sono solo quelli che hanno un valore economico; i beni o servizi eventualmente prodotti dall'attività d'impresa privi di un valore di scambio non costituiscono "prodotto" in senso economico;
la destinazione al mercato dei consumatori è fondamentale perché si possa parlare di attività imprenditoriale: l'attività imprenditoriale deve essere volta a soddisfare i bisogni altrui;
sull'imprenditore ricade il rischio d'impresa ovvero il rischio del risultato economico dell'attività intrapresa.

L’impresa ha quindi un obiettivo (produzione o scambio di beni o servizi) e, sotto il profilo economico, deve essere condotta con criteri che prevedano una adeguata copertura dei costi con i ricavi.

Fin qui le regole e le norme (e alcuni cenni storici).

E’ possibile dire che siamo tutti imprenditori

Qualsiasi sia il nostro lavoro o quello che vogliamo fare, a meno che non ci piaccia solo eseguire alla lettera gli ordini che riceviamo; sia che siamo titolari di azienda o manager o quadri o anche semplici impiegati od operai, se abbiamo delle responsabilità e delle aspirazioni siamo imprenditori, anche se di un’impresa costituita solo da noi stessi.

Imprenditore è colui che opera in maniera totalmente differente da come operano i concorrenti. Imprenditore è colui che vede cose che gli altri non vedono. L’imprenditore è un visionario.

Passione, energia, entusiasmo e pulsione questo è quello che distingue l’imprenditore di successo da tutti gli altri.

Un imprenditore entra in un settore innovando nel senso di produrre o di distribuire in maniera diversa, aggiungendo, sottraendo o migliorando caratteristiche e benefici al prodotto o al servizio dei concorrenti.

Qualcuno ha detto: “se non sei in affari per soldi, per divertimento o per tutti e due che ci fai lì?”. In effetti la maggior parte degli imprenditori di successo ama il proprio lavoro.
Un antico proverbio giapponese recita: “la visione senza l’azione è sognare ad occhi aperti ma agire senza visione è un incubo”.

La domanda a cui quindi è necessario rispondere ed esaminare in maniera profonda è PERCHE’? Perché abbiamo deciso di diventare imprenditori. Cosa ci ha spinto ad intraprendere un lavoro difficile e rischioso, che richiede tutta la nostra attenzione, che prende tutto il nostro tempo.

I perché decidiamo d’intraprendere possono essere vari:



non abbiamo più il “posto fisso”;
siamo stanchi di lavorare per altri e vogliamo essere indipendenti;
abbiamo vinto all’enalotto o ricevuto un’eredità;
per caso;
esiste un’azienda di famiglia;
vogliamo trasformare un nostro interesse, un hobby, in impresa;
abbiamo una buona idea.

Esistono quindi diverse ragioni per cui abbiamo deciso di intraprendere, ma dobbiamo andare più a fondo e scoprire i veri nostri obiettivi:




vogliamo fare qualcosa per gli altri;
il campo in cui operiamo è obsoleto e vediamo le cose in maniera differente;
vogliamo migliorare le condizioni economiche della nostra famiglia;
cerchiamo più soddisfazione nel lavoro;
è qualcosa che abbiamo sempre sognato.

Avere sempre presenti i nostri obiettivi ci aiuterà a superare i momenti difficili.
Qualunque sia la ragione e gli obiettivi per cui abbiamo iniziato, il vero motivo è che abbiamo un certo talento o attitudine per la parte operativa dell’impresa: l’amministrazione, la commercializzazione, la produzione. La competenza in queste aree è ovviamente importante per iniziare, ma il fatto è che l’area operativa dell’impresa è solo una parte che costituisce il ciclo di vita dell’impresa stessa. Questo ciclo di vita in generale consiste in quattro fasi:



start up è il vero e proprio inizio dell’impresa, oppure può essere l’introduzione di un nuovo prodotto o servizio, o una nuova locazione in un altro paese, o l’introduzione di un nuovo dipartimento o funzione;
crescita è la fase in cui l’impresa si sviluppa attraverso le vendite, il personale, l’organizzazione, la struttura, la ricerca;
continuità è la fase di consolidamento dell’impresa;
riorganizzazione è la fase più critica: cambia il mercato, cambiano le leggi, cambia il rapporto con le risorse umane, il nostro prodotto o servizio diventa obsoleto.

Comprendere e superare le fasi del ciclo di vita dell’impresa presuppone possedere altre competenze che non sono solo quelle operative, ma è necessario avere competenze nella logistica, distribuzione, marketing, gestione delle risorse umane. La sinergia tra queste competenze ci permetterà di crescere e raggiungere gli obiettivi prefissi.


Bibliografia

Luciano Gallino, Sociologia dell'economia e del lavoro, Torino, Utet, 1989.
Max Weber,L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze (Tubinga), 1965
F. X. Sutton, Il credo dell'imprenditore americano, Milano (Cambridge), 1972

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Il marketing efficace

da CaosManagement n.45

Il ruolo del marketing: massimizzare il valore tangibile e intangibile dei prodotti/servizi dell'impresa, migliorandone costantemente il valore percepito (essere il migliore non e' sufficiente, e' anche importante essere visto e percepito come il migliore).

E' quindi molto importante conoscere i criteri con i quali il potenziale cliente misura il valore dei nostri prodotti/servizi.

In un mercato in continua evoluzione e cambiamento questo e' molto difficile se non si ha una visione globale di tutto quello che ci succede intorno: il mercato, i concorrenti, i clienti, le tendenze.

Il cambiamento è alimentato dallo scambio di informazioni (una farfalla che batte le ali nella foresta amazzonica può provocare una tempesta in Europa) che é sempre più veloce e amplificato e lo sarà sempre di più.

1. Attività e non reattività
"Se avessimo aspettato di sapere che cosa voleva il mercato non avremmo mai avuto la ruota, la leva, meno ancora l'automobile, l'aereo o la televisione" (una citazione da Leo Burnett, il famoso pubblicitario). Non basta quindi reagire alle richieste del mercato, é invece necessario essere innovativi e prevenire le richieste. I principi reattivi, espressi in tutti i testi sacri del marketing, erano forse validi negli anni 50 e 60, in un mercato in continua e veloce evoluzione non sono più sufficienti. Questo non vuol dire assolutamente che non dobbiamo preoccuparci del cliente e delle sue richieste, al contrario dobbiamo sorprenderlo prevenendo le sue richieste.

2. Velocità
Agire velocemente: questo é un altro elemento fondamentale per un marketing efficace. Una ricerca di mercato elaborata e raffinata non sarà più valida quando sarà terminata: il mercato intanto sarà cambiato.

3. Conoscenza
Per essere attivi e veloci occorre costruire sulla conoscenza e sull'esperienza, e questi sono patrimoni che si acquistano col tempo, col lavoro continuo e con l'affinamento della sensibilità al mercato: nessun sistema di archiviazione può sostituire quello che c'é nella testa e nello stomaco di un esperto marketing manager.
Se è vero che nel presente tutto sta cambiando velocemente intorno a noi, é necessario, per capire, conoscere come questi cambiamenti stanno avvenendo, quindi occorre conoscere la storia.

4. Offrire al cliente un miglior affare
Una decisione di acquisto é sempre basata su poche dimensioni di valore, quattro o cinque. Per acquisire superiorità nel mercato occorre quindi concentrarsi su questi indici di valore.

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