consulenza manageriale

lunedì, dicembre 21, 2009

Apprendere (oggi) è facile

da Caosmanagement.it n°47 dicembre 2009

Tutti abbiamo la capacità di acquisire conoscenza ed apprendere nel corso della nostra vita. Non sembri retorico dire che ciascuno di noi ha la possibilità di crescere facendo della propria vita un percorso di apprendimento ed acquisendo nuova conoscenza in ogni momento.

In questi ultimi anni internet ci ha reso molto più facile apprendere, iniziando un percorso che nell’opinione di molti potrà presto provocare una trasformazione radicale dell’apprendimento formale (ginnasio, liceo, università), fino alla abolizione della scuola così come la intendiamo oggi. Dell’MBA abbiamo già detto.

Riferendoci ora ad un uso “utilitaristico” dell’apprendimento ci rivolgeremo a coloro che hanno la necessità di conoscere più cose per crescere e progredire nella propria attività o per affrontare problemi nuovi o iniziare una nuova attività.
Le metodologie classiche per l’apprendimento sono oggi così definite:

Apprendere lavorando (training on the job): necessario affiancamento alle persone in fase di inserimento, di cambiamento nella forma di lavorare, di nuove implementazioni, di innovazione dei processi.


Formazione in aula: occasione d’incontro non gerarchico delle persone che lavorano con uno scopo specifico, programmato, interattivo e valutato nel tempo. I temi possono essere diversi come diverse possono essere le tecniche usate in aula.


Formazione a distanza: può essere utilizzata per coinvolgere più persone
contemporaneamente, con l’utilizzazione di metodologie diverse come la practice simulation, Business Games e Problem Based Learning.

Le prime due sono ben note e presentano diversi vantaggi e molti svantaggi. Della terza metodologia diremo più avanti.
Vediamo ora quali sono le fasi da seguire per acquisire conoscenza via internet in maniera efficace ed efficiente.

Inserire in un motore di ricerca la parola o la frase che indichi l’argomento che vogliamo conoscere.
Leggere dai diversi punti di vista cercando prima di tutto su giornali o riviste accademiche o scientifiche on-line e dai blog.
Controllare accuratamente quello che abbiamo trovato tenendo presente che non sempre quello che viene pubblicato è la verità.
Partecipare a forum di discussione per condividere quello che abbiamo appreso.

Sulla formazione a distanza abbiamo già avuto modo di scrivere sui precedenti numeri di questa rivista. Ce ne siamo occupati teoricamente e praticamente sin dai suoi esordi fin dalla seconda metà degli anni ’90. All’inizio si trattava solo di utilizzare il web come un nuovo supporto di un libro di esercizi con in fondo le soluzioni. Un procedimento quindi scomodo e noioso.

La situazione oggi è notevolmente cambiata.

Ecco dunque alcuni motivi per cui la formazione a distanza diventa sempre più interessante.

1. Grande scelta
Esistono ora online molti programmi tra cui scegliere.
2. Flessibilità
Permette di apprendere senza trascurare altri impegni.
3. Opportunità di Networking
E’ possible entrare in contatto con altri studenti.
4. Tempi
Molti programmi online permettono di studiare organizzando il proprio tempo.
5. Risparmio
La formazione online costa meno di altre tipologie di formazione.
6. Nessuna necessità di muoversi
Nessuno spreco di tempo e costi di trasporto.
7. Contenuti di alto livello
Alcuni programmi online permettono il contatto diretto con professori di alto livello accademico o di esperienza.
8. Efficacia
Recenti studi hanno permesso di constatare che lo studio online è più efficace di
quello in una aula tradizionale.
9. Contatto
Alcuni programmi online permettono il contatto diretto e personale con i docenti.

In sintesi la formazione a distanza permette ai partecipanti di gestire il proprio tempo in maniera molto più completa che la partecipazione ad un tradizionale corso in aula e permette soprattutto un contatto diretto con i docenti.

Per quanto concerne le metodologie più efficaci adoperate nella formazione a distanza abbiamo citato practice simulation e Business Games .

L’altra metodologia interessante e che fornisce grandi risultati è il Problem Based Learning (PBL).

Questa metodologia si basa sulla multidisciplinarietà: agli studenti viene sottoposto un problema concreto da risolvere acquisendo, con l’assistenza del docente, tutte le conoscenze necessarie.

Ma di questo diremo in un prossimo articolo.

Etichette: , , , , ,

giovedì, dicembre 03, 2009

Scrap the MBA

da CaosManagement n.43

E’ giunto il momento di abolire i Master in Business Administration?

Per amor di patria non parleremo delle scuole dei manager italiani, da cui vengono fuori personaggi che non sanno che Napoleone ha perso a Waterloo o che la Libia è stata una colonia dell’Italia, che spesso non sanno distinguere tra ha (verbo avere) ed a (preposizione), che applaudono entusiasti se qualcuno gli dice che la crisi non esiste ed è solo un fatto psicologico, che sembrano fatti con lo stampino, la testa rasata, con la loro arroganza, il loro vestitino blu, la cravatta di marinelli ed il loro telefonino ultima moda da usare con fragore nella prima classe della freccia rossa.

Parleremo invece della importante discussione che si sta svolgendo a livello internazionale sugli MBA, i Master in Business Administration.
E’ nato anche un nuovo termine: “MBA clone” (Dan Herman). Molti manager frequentano gli stessi corsi, studiano sugli stessi libri, leggono gli stessi giornali e le stesse riviste, partecipano agli stessi convegni ed assistono alle stesse conferenze. In questo modo assumono lo stesso atteggiamento e lo stesso vocabolario nei confronti del business. Diventano degli MBA clone. Naturalmente non tutti diventano MBA clone e Dan Herman propone un questionario per verificare se lo si è diventato ed una serie di suggerimenti per “declonizzarsi”. Alcuni suggerimenti sono assolutamente accettabili, quali per esempio quello di abbandonare la strategia a lungo termine, di non confondere obiettivi e strategia, altri andrebbero discussi in maniera più approfondita come quello di abbandonare la market segmentation per la contextual segmentation oppure rinunciare alla vision. Henry Mintzberg critica aspramente l’MBA. Riportiamo qui parte di una recente intervista alla CNN:

CNN: Quale dovrebbe essere l'obiettivo dell’MBA?

MINTZBERG: Creare migliori manager che creino migliori organizzazioni che creino un mondo migliore.

CNN: Il management può essere insegnato?

MINTZBERG: No, è possibile migliorare la qualità o le caratteristiche dei manager, non è possibile creare i manager in aula..... Quello che non si può fare è insegnare la gestione a qualcuno che non è un manager, come non si può insegnare un intervento chirurgico a chi non è un chirurgo. .............. Quello che ho contro gli MBA è il fatto che vieni fuori da un programma di MBA di due anni, non avendo mai fatto il manager, e presumi che sei pronto per assumere responsabilità di manager. Non solo lo presumi, ma è la stessa scuola che te lo assicura, e questo è profondamente sbagliato. ........ io considero la gestione, il management, come arte, artigianato e scienza. Si tratta di una pratica che si basa su arte, artigianato e scienza e c'è un sacco di artigianato, nel senso di esperienza, che comporta intuizione, creatività, visione e vi è l'uso della scienza, della tecnica e dell’analisi. Ma i programmi MBA sono così orientati prevalentemente verso la parte analitica che vengono fuori quelli che io chiamo “calculating managers” e penso che stanno causando problemi ovunque................................... Nelle scuole di management si da molta importanza ai case study. Si basano sul fatto di leggere una ventina di pagine di un’impresa di cui probabilmente non hai sentito mai parlare ed il giorno dopo si va in aula a parlarne. Così si stanno formando persone che pensano: datemi una ventina di pagine di relazione ed io vi do la strategia. ...............non vi è alcuna esperienza diretta, nessuno ha mai incontrato il cliente, non è mai stato nelle fabbriche, non conosce i prodotti, nessuno sa nulla. E sono tutti a parlare di ciò che la società è tenuta a fare, perché hanno trascorso un paio d'ore la sera prima a leggere il caso....................

Ray Williams in un articolo per il Sounding Board, rivista del Vancouver Board of Trade, rileva che per la maggior parte i programmi delle scuole di business sono orientati alla teoria ed utilizzano gli strumenti tradizionali: case studies, lezioni, film e discussioni. Il problema, secondo Ray Williams, è che i docenti di queste scuole sono scelti non sulla base della loro esperienza di leader o manager, ma sulla base delle ricerche pubblicate.
Kelly Holland in un articolo sul New York Times rileva che le scuole di business sono troppo teoriche e con pochi contatti con il mondo reale, agli studenti si insegna come affrontare problemi complessi con soluzioni semplici e rapide, l’unico obiettivo è quello di massimizzare il valore delle azioni, senza nessun riferimento all’etica ed ai problem sociali.
Anche Rakesh Khurana pensa che le scuole di business formano dei manager il cui unico obiettivo è quello di far crescere il valore della azioni e che, quindi, sono dei semplici agenti della proprietà, con tutto quello che deriva da questa idea.
In un articolo nel London Times, Philip Broughton è molto più feroce ed afferma che se Robespierre rinascesse e cercasse persone da ghigliottinare potrebbe cominciare da quelli che dopo il proprio nome inseriscono la sigla MBA: questa categoria di banchieri, finanzieri e consulenti distruttori di valore ha fatto molti più danni di qualsiasi altra categoria di persone. Broughton rileva anche che se facciamo una lista dei più importanti imprenditori nella storia recente, da Larry Page e Sergey Brin di Google, Bill Gates di Microsoft, a Michael Dell, Richard Branson, Lakshmi Mittal, non troviamo un solo MBA. Se invece guardiamo dalla Royal Bank of Scotland a Merrill Lynch, da HBOS a Lehman Brothers, troviamo le impronte digitali di tanti MBA.

Lynda Gratton prevede, molto ottimisticamente, che saranno gli studenti a provocare il cambiamento nelle business schools. La sua opinione è che coloro che si iscrivono a queste scuole o che affrontano un MBA sono oggi a conoscenza, per fonti fuori dall’ambiente accademico, che esistono altri modelli di impresa, più egualitari e che esistono quelli che lei indica come “social entrepreneurs”.

Quest’ultima nota di ottimismo si basa sul fatto che la diffusione ed il facile accesso alle informazioni che riguardano le imprese è ormai un fatto compiuto nei paesi in cui esiste una trasparenza e dove i media sono effettivamente liberi da vincoli politici o addirittura di ownership. Speriamo che questo possa avvenire anche da noi.

Etichette: , , , , , , ,

L’imprenditore

da CaosManagement n.44

A norma dell'articolo 2082 del Codice Civile (Libro V, Titolo II, Capo I, Sezione I) si definisce imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.

Di conseguenza l'impresa, sotto il profilo giuridico, è un'attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
Intorno al Cinquecento appaiono le prime citazioni del termine imprenditore. Con questo nome si indicava il capitano di ventura che ingaggiava truppe per servire principi e potenti. Solo nel Settecento la definizione d'imprenditore assume i connotati moderni (nel campo agricolo il proprietario terriero, in quello manifatturiero chi produceva merci da distribuire, in quello pubblico l'impresario che realizzava infrastrutture). Nel 1803 nel suo Traité d'économie politique Jean Baptist Say descrisse il ruolo centrale dell’imprenditore nel mondo del capitale, della produzione, del commercio e del consumo e nel 1912 Joseph Schumpeter si occupò della funzione di innovazione nei fattori produttivi apportata dalla figura dell'imprenditore.

Al giorno d’oggi e secondo la norma:

può essere imprenditore sia una persona fisica che una persona giuridica;
per attività economica si intende ogni attività volta ad utilizzare i fattori produttivi (capitale, lavoro e materie prime) per ottenere un prodotto (bene o servizio):
i beni e servizi che costituiscono il prodotto dell'impresa sono solo quelli che hanno un valore economico; i beni o servizi eventualmente prodotti dall'attività d'impresa privi di un valore di scambio non costituiscono "prodotto" in senso economico;
la destinazione al mercato dei consumatori è fondamentale perché si possa parlare di attività imprenditoriale: l'attività imprenditoriale deve essere volta a soddisfare i bisogni altrui;
sull'imprenditore ricade il rischio d'impresa ovvero il rischio del risultato economico dell'attività intrapresa.

L’impresa ha quindi un obiettivo (produzione o scambio di beni o servizi) e, sotto il profilo economico, deve essere condotta con criteri che prevedano una adeguata copertura dei costi con i ricavi.

Fin qui le regole e le norme (e alcuni cenni storici).

E’ possibile dire che siamo tutti imprenditori

Qualsiasi sia il nostro lavoro o quello che vogliamo fare, a meno che non ci piaccia solo eseguire alla lettera gli ordini che riceviamo; sia che siamo titolari di azienda o manager o quadri o anche semplici impiegati od operai, se abbiamo delle responsabilità e delle aspirazioni siamo imprenditori, anche se di un’impresa costituita solo da noi stessi.

Imprenditore è colui che opera in maniera totalmente differente da come operano i concorrenti. Imprenditore è colui che vede cose che gli altri non vedono. L’imprenditore è un visionario.

Passione, energia, entusiasmo e pulsione questo è quello che distingue l’imprenditore di successo da tutti gli altri.

Un imprenditore entra in un settore innovando nel senso di produrre o di distribuire in maniera diversa, aggiungendo, sottraendo o migliorando caratteristiche e benefici al prodotto o al servizio dei concorrenti.

Qualcuno ha detto: “se non sei in affari per soldi, per divertimento o per tutti e due che ci fai lì?”. In effetti la maggior parte degli imprenditori di successo ama il proprio lavoro.
Un antico proverbio giapponese recita: “la visione senza l’azione è sognare ad occhi aperti ma agire senza visione è un incubo”.

La domanda a cui quindi è necessario rispondere ed esaminare in maniera profonda è PERCHE’? Perché abbiamo deciso di diventare imprenditori. Cosa ci ha spinto ad intraprendere un lavoro difficile e rischioso, che richiede tutta la nostra attenzione, che prende tutto il nostro tempo.

I perché decidiamo d’intraprendere possono essere vari:



non abbiamo più il “posto fisso”;
siamo stanchi di lavorare per altri e vogliamo essere indipendenti;
abbiamo vinto all’enalotto o ricevuto un’eredità;
per caso;
esiste un’azienda di famiglia;
vogliamo trasformare un nostro interesse, un hobby, in impresa;
abbiamo una buona idea.

Esistono quindi diverse ragioni per cui abbiamo deciso di intraprendere, ma dobbiamo andare più a fondo e scoprire i veri nostri obiettivi:




vogliamo fare qualcosa per gli altri;
il campo in cui operiamo è obsoleto e vediamo le cose in maniera differente;
vogliamo migliorare le condizioni economiche della nostra famiglia;
cerchiamo più soddisfazione nel lavoro;
è qualcosa che abbiamo sempre sognato.

Avere sempre presenti i nostri obiettivi ci aiuterà a superare i momenti difficili.
Qualunque sia la ragione e gli obiettivi per cui abbiamo iniziato, il vero motivo è che abbiamo un certo talento o attitudine per la parte operativa dell’impresa: l’amministrazione, la commercializzazione, la produzione. La competenza in queste aree è ovviamente importante per iniziare, ma il fatto è che l’area operativa dell’impresa è solo una parte che costituisce il ciclo di vita dell’impresa stessa. Questo ciclo di vita in generale consiste in quattro fasi:



start up è il vero e proprio inizio dell’impresa, oppure può essere l’introduzione di un nuovo prodotto o servizio, o una nuova locazione in un altro paese, o l’introduzione di un nuovo dipartimento o funzione;
crescita è la fase in cui l’impresa si sviluppa attraverso le vendite, il personale, l’organizzazione, la struttura, la ricerca;
continuità è la fase di consolidamento dell’impresa;
riorganizzazione è la fase più critica: cambia il mercato, cambiano le leggi, cambia il rapporto con le risorse umane, il nostro prodotto o servizio diventa obsoleto.

Comprendere e superare le fasi del ciclo di vita dell’impresa presuppone possedere altre competenze che non sono solo quelle operative, ma è necessario avere competenze nella logistica, distribuzione, marketing, gestione delle risorse umane. La sinergia tra queste competenze ci permetterà di crescere e raggiungere gli obiettivi prefissi.


Bibliografia

Luciano Gallino, Sociologia dell'economia e del lavoro, Torino, Utet, 1989.
Max Weber,L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze (Tubinga), 1965
F. X. Sutton, Il credo dell'imprenditore americano, Milano (Cambridge), 1972

Etichette: , , , , , , ,

Il marketing efficace

da CaosManagement n.45

Il ruolo del marketing: massimizzare il valore tangibile e intangibile dei prodotti/servizi dell'impresa, migliorandone costantemente il valore percepito (essere il migliore non e' sufficiente, e' anche importante essere visto e percepito come il migliore).

E' quindi molto importante conoscere i criteri con i quali il potenziale cliente misura il valore dei nostri prodotti/servizi.

In un mercato in continua evoluzione e cambiamento questo e' molto difficile se non si ha una visione globale di tutto quello che ci succede intorno: il mercato, i concorrenti, i clienti, le tendenze.

Il cambiamento è alimentato dallo scambio di informazioni (una farfalla che batte le ali nella foresta amazzonica può provocare una tempesta in Europa) che é sempre più veloce e amplificato e lo sarà sempre di più.

1. Attività e non reattività
"Se avessimo aspettato di sapere che cosa voleva il mercato non avremmo mai avuto la ruota, la leva, meno ancora l'automobile, l'aereo o la televisione" (una citazione da Leo Burnett, il famoso pubblicitario). Non basta quindi reagire alle richieste del mercato, é invece necessario essere innovativi e prevenire le richieste. I principi reattivi, espressi in tutti i testi sacri del marketing, erano forse validi negli anni 50 e 60, in un mercato in continua e veloce evoluzione non sono più sufficienti. Questo non vuol dire assolutamente che non dobbiamo preoccuparci del cliente e delle sue richieste, al contrario dobbiamo sorprenderlo prevenendo le sue richieste.

2. Velocità
Agire velocemente: questo é un altro elemento fondamentale per un marketing efficace. Una ricerca di mercato elaborata e raffinata non sarà più valida quando sarà terminata: il mercato intanto sarà cambiato.

3. Conoscenza
Per essere attivi e veloci occorre costruire sulla conoscenza e sull'esperienza, e questi sono patrimoni che si acquistano col tempo, col lavoro continuo e con l'affinamento della sensibilità al mercato: nessun sistema di archiviazione può sostituire quello che c'é nella testa e nello stomaco di un esperto marketing manager.
Se è vero che nel presente tutto sta cambiando velocemente intorno a noi, é necessario, per capire, conoscere come questi cambiamenti stanno avvenendo, quindi occorre conoscere la storia.

4. Offrire al cliente un miglior affare
Una decisione di acquisto é sempre basata su poche dimensioni di valore, quattro o cinque. Per acquisire superiorità nel mercato occorre quindi concentrarsi su questi indici di valore.

Etichette: , , , , ,

Manager Sistemico

da CaosManagement n.46

“Ogni cosa vien da ogni cosa, e d’ogni cosa si fa ogni cosa e ogni cosa torna in ogni cosa…” Leonardo da Vinci

LA COMPLESSITÀ

I problemi che l’umanità si trova a fronteggiare diventano sempre più resistenti alle soluzioni, in particolare alle soluzioni. Si tratta di problemi complessi, ovvero che coinvolgono numerosi fattori economici, ambientali, tecnici, politici, sociali, morali: pertanto la soluzione, per essere efficace, deve tener conto di tutti questi aspetti, che interagiscono fra loro.

La tecnologia ci mette a disposizione potenti strumenti per effettuare interventi mirati: possiamo far crescere grano nel deserto dissalando l’acqua marina oppure distruggere con un missile a testata nucleare un asteroide che minaccia la Terra. Ma se proviamo ad affrontare un problema complesso da una sola angolazione, possiamo forse ottenere un miglioramento locale, che sposta il problema da qualche altra parte, nel tempo o nello spazio. Trasferendoci dalle emergenze planetarie al nostro quotidiano, riscontriamo che anche la gestione delle nostre Aziende diventa sempre più complessa, per la globalizzazione dei mercati, per il tasso di aggiornamento delle tecnologie e per l’accelerazione dei cambiamenti sociali e politici. E quindi anche nel nostro lavoro ci imbattiamo spesso in problemi “resistenti” alle soluzioni specialistiche.

I sistemi complessi sono dovunque (la nostra azienda, il nostro reparto, un ecosistema, l’economia mondiale, la nostra città, l’atmosfera terrestre,..) e noi stessi rappresentiamo forse il sistema più complesso dell’universo. I sistemi complessi, pur presenti negli ambiti più diversi (economico, aziendale, sociale, psicologico, biologico, fisico, ecc.), sono però governati tutti da alcuni principi di base, che vengono a comporre la “Scienza della Complessità”.

In generale approcciamo i problemi in modo meccanicistico: analizziamo un problema scomponendolo in parti sempre più piccole, in modo da poterne studiare le proprietà. Questo orientamento ha guidato gran parte della scienza e della tecnologia nel secolo passato ed è profondamente radicato nel nostro modo di pensare (applichiamo il diagramma causa/effetto o lisca di pesce, ilteorema di Pareto 20/80...). Focalizziamo l’attenzione sulla parte che non funziona e cerchiamo di ripararla, ricorrendo agli specialisti. Questo atteggiamento ci porta ad effettuare interventi settoriali (non privi di efficacia), ma ci costringe a ridurre la visione ad un orizzonte limitato. Questo approccio funziona bene quando il problema è circoscritto in un ambito ristretto, ma si rivela sempre meno efficace all’aumentare delle dimensioni spaziali e temporali, ossia della complessità.

“Essendo tutte le cose causanti e causate, aiutate e adiuvanti, mediate e immediate, e tutte essendo legate da un vincolo naturale e insensibile che unisce le più lontane e le più disparate, ritengo sia impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto, così come è impossibile conoscere il tutto senza conoscere particolarmente le parti.” Pascal

Il pensiero sistemico propone una nuova maniera di guardare il mondo e l’impresa, per cercare di dominarne meglio la complessità: considerare non gli elementi singoli ma l’insieme delle parti, intese come un tutto unico, concentrandosi sulle relazioni tra gli elementi piuttosto che sui singoli elementi presi separatamente.

“Il guaio dei nostri tempi è che il futuro non è più quello di una volta”. Paul Valéry

Il Pensiero sistemico propone un approccio concreto e operativo particolarmente adatto alle organizzazioni. A differenza della Dinamica dei Sistemi, che è una disciplina specialistica, il Pensiero Sistemico può essere adottato proficuamente da tutti i manager, cioè dalle persone che prendono decisioni. Secondo molti questo approccio dovrà essere una caratteristica comune dei manager dei prossimi anni.

Questo approccio favorirà quanti, imprenditori, uomini d’azienda, quadri o manager, siano interessati a:

- ampliare l’angolo di osservazione dei problemi, per cogliere aspetti che sfuggono ad un approccio specialistico;
- affrontare con maggiore efficacia problemi interdisciplinari, da soli o in team;
migliorare la comprensione (individuale o collettiva) di un situazione complessa, mediante la rappresentazione delle cause strutturali sottostanti.

L'organizzazione di una impresa (micro, piccola, media o grande) è un organismo dinamico, sottoposto ad influenze interne ed esterne che provocano evoluzioni in maniera continua. Il mercato (clienti, concorrenti e fornitori), il progresso tecnologico, le leggi, gli asset intangibili (brand, portafoglio clienti, management, risorse umane) che sono l’80% del valore di un’impresa, sono i quattro macroelementi, a loro volta sistemi dinamici in continua evoluzione.

Il manager sistemico non limita la propria attività alla soluzione dei problemi specifici ma guarda alla sua organizzazione nel suo insieme complesso e dinamico. Il manager sistemico non guarda solo agli obiettivi da raggiungere, ma ai processi che gli permetteranno di raggiungere quegli obiettivi. Non si occupa, se non qualche volta, dell’albero ma piuttosto della foresta. Il manager sistemico non si limiterà a guidare la propria organizzazione guardando al bilancio ed al conto economico (sarebbe come guidare un automobile guardando solo nello specchietto retrovisore) ma controlla e gestisce gli avvenimenti che influiscono in maniera determinante sui risultati economici: il marketing, i processi interni, le risorse umane e la ricerca e sviluppo. (ref. http://gem4pmi.com/giuseppemonti/?page_id=2 )

Il manager sistemico deve applicare i principi della delega in maniera continua e scientifica. Non basta dare ordini perentori e punire chi non obbedisce o non esegue, agire quindi in maniera ottocentesca, ma è necessario creare le condizioni migliori in cui ognuno dei collaboratori possa esprimere le proprie capacità e competenze. Deve, in qualche caso, accettare le decisioni e le idee dei propri collaboratori anche se non corrispondono esattamente alle sue decisioni ed alle sue idee.

Il manager sistemico sa che cosa può o non può prevedere, sa decidere cosa è importante e cosa non è importante.

Per concludere ecco quali sono i task più importanti per un manager sistemico:

- scegliere nuovi collaboratori
- illustrare gli effetti della riorganizzazione di un sistema
- fornire strumenti al counselling e alla supervisione
- migliorare la qualità della comunicazione
- esaminare gli effetti dell’outsourcing
- valutare il lancio di un nuovo prodotto
- rendere più chiare le relazioni tra fornitori, azienda e clienti
- supportare le decisioni
- risolvere i conflitti nei team
- facilitare la mediazione e la negoziazione
- analizzare le implicazioni di nuovi contratti e proporre correttivi più vantaggiosi
- generare nuove idee
- sviluppare una nuova filosofia aziendale
- esaminare ed elaborare le proprie convinzioni
- facilitare l’apprendimento di competenze interculturali e di nuove lingue
- proporre nuove soluzioni a consulenti o formatori e supervisionare il loro intervento
risolvere conflitti e problemi personali, di coppia e di gruppo

Etichette: