consulenza manageriale

mercoledì, dicembre 07, 2005

Poca formazione e senza strategie: i limiti delle pmi - Febbraio 2003

L’economia arranca. Le aziende aspettano tempi migliori per investire, ma la cosa ancora più pericolosa è l’approccio di molti manager verso il nuovo, verso l’aggiornamento e quindi verso la formazione continua.

Se la stasi economica è un problema di congiuntura, legato a un periodo infelice del mercato internazionale, la scarsa propensione all’aggiornamento ed alla formazione continua, sembra piuttosto un limite strutturale dei dirigenti italiani, che soffrono di carenza di formazione.

Ne fanno poca, e le ore diminuiscono in parallelo alle dimensioni dell'azienda, e quella che fanno spesso non è mirata, nasce fuori da un piano coerente per la crescita di competenze e capacità. Colpa di tante imprese che non investono abbastanza e colpa di tanti manager che sembrano non avere molto a cuore la conoscenza del nuovo, lo sviluppo dei propri mezzi. Ogni dirigente fa in media circa 40 ore di formazione l'anno e il dato è solo in leggero aumento rispetto all'anno scorso. Meno dell'uno per cento del tempo è stato dedicato alla formazione e la maggior parte delle aziende non adotta un piano formativo, si limita ad autorizzare scelte occasionali dei manager. Così la crescita professionale non è mirata e diventa inefficace.

Nelle grandi imprese va meglio, ma non molto. In una recente indagine è emerso che solo metà del campione si preoccupa di migliorare le capacità strategiche dei propri manager (51,2%) e che le società che realizzano organicamente corsi di formazione riguardano soprattutto le competenze informatiche (86,2%) e le lingue straniere (69,2%).

La carenza di formazione è impressionante a tutti i livelli. Tra gli executive praticamente non esiste. La maggior parte riduce l’autoformazione a convegni esclusivi, dove la cosa più importante è esserci. La presunzione di sapere già abbastanza è diffusa anche tra i manager: In molti considerano l'essere dirigenti come un punto d'arrivo e non di partenza verso altri traguardi. La formazione è trascurata in tante aziende, soprattutto banche, assicurazioni ed enti pubblici. L'area della formazione non dovrebbe essere collocata nel personale, ma in un triangolo che comprenda la business strategy e l'efficienza organizzativa: così gli investimenti sarebbero più mirati allo sviluppo dell'azienda e della persona. Le aree critiche sono ancora una volta le piccole e medie imprese, troppo concentrate sui risultati a breve per apprezzare l'utilità di strumenti che dimostrano la loro efficacia in periodi più lunghi.

Per dare il nostro contributo alla discussione sulla formazione, riportiamo l’intervista pubblicata su Espansione di ottobre (N° 6/2001) : Formazione manageriale a distanza.

D.: In quali aree opera Gemini Europa?
R.: Gemini Europa, società di consulenza di direzione, si occupa di formazione manageriale, assistenza alle imprese nell'implementazione dei Sistemi di Gestione della Qualità e Ambiente in conformità con le norme UNI EN ISO 9001:2000 e 14001:96 e implementazione della Balanced Scorecard.

D.: In cosa consiste il vostro metodo formativo?
R.: Ci occupiamo di formazione dal 1984. Sin dall'inizio i nostri corsi si basavano sugli aspetti pratici e sulla partecipazione attiva dell'aula. Il passo successivo (1997) è stato quello di portare in Italia i metodi formativi più avanzati che superassero i limiti dei corsi tradizionali. Siamo infatti esclusivisti per l'Italia, della Practice Simulation di proprietà della MCC International b.v. (Olanda). Questi corsi, che simulano la gestione di un'azienda in tutte le attività strategiche, dal marketing all'amministrazione, alla soddisfazione del cliente e del personale, per intenderci, sono basati sul principio di Kolb: learning by doing. Si partecipa in squadre 3/5 persone gestendo un'azienda virtuale e concorrendo con le altre squadre/aziende in una situazione di continua concorrenza nell'acquisizione delle quote del mercato, nella soddisfazione dell'azionista e del cliente, come nella realtà del resto.

D.: Quali sono le principali problematiche dei corsi di formazione on line?R.:
Prima di elencare le "eventuali" problematiche diciamo subito che i vantaggi sono molti e tutti importanti: permette l'utilizzazione di materiali didattici di alta qualità, offre la possibilità di creare percorsi individuali, abbatte i costi di progettazione e produzione attraverso la ripetibilità dei moduli in diversi contesti, è accessibile anche a utenti occupati a tempo pieno. Consente all'utente di rimanere nella struttura lavorativa in cui opera, rendendo immediatamente spendibile e verificabile quanto acquisito grazie a sistemi di autoapprendimento e di autovalutazione. Detto questo, le problematiche in questo tipo di formazione possono essere ricondotte al rapporto che si instaura fra tutor e discenti. Nel senso che la principale difficoltà sta' proprio nell'interazione che si crea fra questi due soggetti. Per un reale apprendimento, deve esserci la predisposizione del discente all'utilizzo di questo strumento per formarsi, e non più l'aula. Questo presuppone una necessaria dimestichezza con Internet e le sue applicazioni, un approccio positivo e quasi di auto apprendimento. Se queste premesse vengono rispettate, allora un corso on line vale molto più di uno in aula

D.: In quali settori trovano maggior diffusione?
R.: Sicuramente le grandi aziende, quelle cioè con la necessità di formare molte persone e magari contemporaneamente. Questa necessità, con i sistemi tradizionali comporterebbe enormi perdite, per l'allontanamento dei discenti, per le spese di spostamento e d'alloggio, ma soprattutto per il rallentamento del normale ciclo produttivo. Con i corsi on line tutto ciò viene brillantemente superato. Tuttavia, per la nostra esperienza maturata in venti anni di formazione, posso tranquillamente dirLe che anche le piccole e medie imprese sono sensibili a questa formazione. I motivi sono differenti ma altrettanto giusti. Il primo è sicuramente l'abbattimento dei costi, non ci sono spostamenti (essendo a distanza) quindi nessun costo. Poi anche qui, come nelle grandi aziende la possibilità di formare senza rallentare il normale ciclo produttivo è un elemento non trascurabile.

D.: Quali sono i principali ostacoli alla loro diffusione?
R.: Si potrebbe dire: uno di natura tecnica, ovvero la scarsa dimestichezza col mezzo, ed un altro di retaggio culturale tipicamente italiano che ha sempre visto la formazione come un momento di svago, di vacanza, un premio che va sfruttato per rilassarsi, per evadere dall'ufficio e non per migliorare le proprie capacità professionali.

D.: Molti sostengono che i costi dell'e-learning siano alti e che convenga solo ad aziende con centinaia di dipendenti. Le pmi sono quindi tagliate fuori?
R.: Tutt'altro. Uno dei motivi di diffusione dei corsi a distanza consiste proprio nella riduzione dei costi. Perché, così come accennato prima, la mancanza di spese di trasferimento, di alloggio e di costo docente riduce enormemente il costo. E poi, è bene ribadire che, sfruttando Internet e quindi la possibilità di fare tutto a distanza (ognuno davanti al proprio PC) si riducono disservizi, rallentamenti produttivi, perdite di efficienza, che per un'azienda con un corso tradizionale sono oggettivamente altissimi.

D.: Che tipo di monitoraggio dell'apprendimento bisogna prevedere perché la formazione on line sia efficace?
R.: Per fortuna anche in questo Internet ci da una grossa mano. Gli strumenti a disposizione sono tanti e tutti validi. Si possono prevedere dei momenti intermedi di verifica per misurare: la frequenza di collegamento alle pagine del corso, il tempo medio di permanenza su ogni pagina, e questo ci da la possibilità di capire quali tematiche sono state approfondite e per quanto tempo, quelle trascurate e quindi da sviluppare con ulteriori moduli formativi, ad esempio. Oltre ovviamente ai questionari di auto valutazione (intermedi e finali).

D.: Qualcuno sostiene che, perché il sistema possa dare un reale vantaggio competitivo, l'azienda che si avvale dell'e-learning non deve soltanto investire nello strumento ma cambiare al suo interno. Qual è il suo parere in merito?
R.: Giustissimo. A tal proposito giorni fa leggevo che alcune tra le più grandi aziende della Net Economy hanno lanciato un allarme, i loro dipendenti rimangono collegati ad Internet in media due ore al giorno a leggere la posta (email), a "chattare" con amici e colleghi. E questo, secondo loro, rappresenterebbe una notevole perdita di efficienza e quindi un costo da ridurre.
Tutto risulta di difficile comprensione perché se è vero che per "misurare" un'azienda la valutazione degli attivi e dei passivi è sicuramente un elemento importante non è sufficiente, almeno secondo noi. L'utile e la perdita non sono sufficienti a stimare la "bontà" di un'iniziativa, oggi. La reale valutazione di un'azienda non può prescindere da alcuni elementi intangibili che, tuttavia, sono indicatori concreti della sostenibilità nel tempo del business.
Dunque, da cosa dipende il valore di un'azienda? Per quali ragioni alcune imprese hanno un valore di mercato molto superiore al loro valore contabile? Perché aziende di successo perdono rapidamente valore e imprese prive di profitto sono sopravalutate dagli investitori?
Il valore di un'impresa dipende oggi sempre meno dai suoi asset tradizionali e sempre più dai suoi asset intangibili. Un'impresa può oggi definirsi ricca, vitale, competitiva non quando possiede ingenti risorse economiche e finanziarie ma quando dispone di un elevato capitale intellettuale.
La capacità di innovare, le competenze e il know-how delle persone, l'immagine aziendale, il patrimonio di relazioni instaurate con il mercato e i clienti, sono questi gli elementi del capitale intellettuale che concorrono in misura sempre maggiore a determinare il valore di un'azienda e la sua capacità di competere sul mercato.
Le attuali metodologie di accounting, basate esclusivamente su indicatori economico-finanziari, attraverso il bilancio d'esercizio evidenziano un buon risultato nella gestione passata ma nulla, o molto poco, dicono sulla sostenibilità di tale risultato nel futuro e sulla capacità competitiva dell'impresa. Quindi se cambiare vuol dire migliorarsi continuamente allora si, è necessario un continuo ripensamento.

D.: Quale futuro per il mercato europeo?
R.: Innanzitutto bisognerebbe chiedersi qual è il futuro per il mercato italiano. Perché nel resto d'Europa è ben chiaro che questo modo di erogare formazione sarà il futuro, oltre a rappresentare già il presente. Inoltre, bisognerebbe chiedersi quando Internet diverrà uno strumento solido, veloce e privo degli attuali buchi applicativi che ovviamente rallentano questa evoluzione che tuttavia è inarrestabile.