consulenza manageriale

venerdì, dicembre 02, 2005

La formazione oggi: come individuare il metodo giusto? - Maggio 2002

Lo scenario entro il quale si collocano i fenomeni organizzativi è radicalmente mutato rispetto ad alcuni decenni fa. Sono mutati gli equilibri interni, la complessità delle relazioni industriali ha stimolato la ricerca di nuovi rapporti, la turbolenza ambientale ha richiesto e richiede nuovi livelli di conoscenza, il cambiamento tecnologico esige nuove conoscenze e nuove capacità.
Il sistema nel suo complesso – sia organizzativo, politico, economico e sociale – si è fatto più turbolento, dinamico e interattivo. Conseguentemente all’aumento della complessità dei sistemi è andata crescendo anche la complessità dei ruoli organizzativi ai quali si richiedono maggiore capacità di coinvolgimento individuale e dei collaboratori, un ampliamento della conoscenza dell’ambiente esterno e, insieme, una maggiore capacità di analisi e dominio della propria area soggettiva e personale.

In termini più generali si può ritenere che agli “attori” organizzativi vengano chieste:
· Una sempre maggiore autonomia e coerenza decisionale ;
· Un orientamento mirato agli obiettivi e quindi all’efficacia;
· Una centralità di governo dei processi e un’integrazione delle funzioni;
· Un contemporaneo comporsi di specializzazione tecnica e un superamento delle logiche rigidamente specialistiche.

Accanto a questi aspetti si richiede lo sviluppo delle proprie capacità in un contesto di autonomia, creatività, polivalenza, duttilità e interfunzionalità.

E’ possibile identificare una metodologia didattica in grado di rispondere adeguatamente alla attuale configurazione delle esigenze dei vari attori organizzativi, al fine di rendere la formazione realmente incisiva, in grado cioè di sviluppare atteggiamenti e comportamenti idonei a far fronte ad una realtà sempre più complessa e turbolenta?

Una buona metodologia formativa non dovrebbe dimenticare di centrare l’attenzione sull’elemento riconosciuto come perno attorno al quale far ruotare il processo formativo e cioè il soggetto. In questo senso è opportuno approntare dei metodi che si rivolgano e coinvolgano direttamente il soggetto in formazione e che lo portino da un atteggiamento di ascolto ad uno di coinvolgimento, per arrivare poi ad una sua effettiva responsabilizzazione all’interno del processo formativo.

· Presupposti per una scelta metodologica
Il tema dei metodi formativi, delle metodologie didattiche, costituisce il punto di confluenza per eccellenza della riflessione, della ricerca e del dibattito sulla formazione: il vincolo prioritario alla costruzione di progetti educativi e il luogo dell’innovazione, del cambiamento.
Di quel complesso oggetto che è la formazione, i metodi rappresentano l’elemento più immediatamente riconoscibile, il riferimento esplicito, l’aspetto “concreto”: in una parola la parete visibile contrapposta a quella parte più nascosta, implicita, di più diretto contenuto teorico che è costituito dai temi degli obiettivi e ancor di più, da quelli dell’apprendimento. In Fare Formazione G.P. Quaglino, caratterizza il dibattito sul metodo essenzialmente sulla contrapposizione di alcuni elementi.[1]

· Accademismo vs. attivismo
Accademismo significa distanza tra docente e allievo, rigidità della relazione pedagogica, “comunicazione ad una via”, impossibilità di ottimizzare su tempi dilatati l’apprendimento, freddezza, impersonalità, astrattezza etc. Attivismo significa coinvolgimento diretto dell’allievo, riferimento al gruppo, imparare facendo esercizi, sperimentando, risolvendo problemi, costruzione progressiva, finalizzata e guidata dell’apprendimento, “comunicazione a due vie”, discussione e confronto, vivacità, responsabilizzazione e concretezza. L’opposizione tra i due approcci si sintetizza come differenza “irriducibile” tra una modalità di conseguimento del sapere vincolata all’ascolto e all’attenzione ed una basata sul coinvolgimento (attivo) in prima persona dell’allievo; tra un sapere per trasmissione ed uno per elaborazione, per analisi, soluzione discussione di problemi .

· Contenuti vs. processi
Riguarda la contrapposizione tra chi punta su finalità di apprendimento e traguardi educativi sostanzialmente espressi dal conoscere contenuti, ovvero vincolati a temi specialistici anche fortemente connotati in senso tecnico, in ogni caso propri del cosiddetto know-how professionale ( il “bagaglio di sapere”) e chi invece ritiene di importanza prioritaria traguardi educativi connessi ad un saper, per così dire, aspecialistico e “universale”: quello dei comportamenti di lavoro e delle relazioni interpersonali. Dove, in questo caso il rimando all’ambito professionale fa riferimento non già ai contenuti di lavoro ma piuttosto ai processi implicati nel senso del suo svolgimento in relazione o con altri: a fatti cioè di comando e guida dei collaboratori, di esercizio di autorità, di conflitto e collaborazione, di decisione etc. Tutto ciò, in relazione alla problematica del metodo, si concretizza nel confronto tra una modalità di apprendimento basata prevalentemente sulla trasmissione di sapere ed una centrata sull’elaborazione più personale: l’una tendente a promuovere una conoscenza degli “oggetti” e l’altra delle implicazioni personali, dei “soggetti”; L’una tendenzialmente formalizzata in modo preciso, definita, “chiusa”, decisamente razionalizzante. L’altra tendenzialmente problematica, interrogativa, “aperta disponibile a “trattare” aspetti, problemi, implicazioni emotive.

· Strutturazione vs destrutturazione
Sviluppando le differenze tra i metodi e le modalità didattiche centrate sui contenuti e quelli centrati sui processi, viene a configurarsi una più precisa opposizione di approcci didattici tra una formazione programmata nei dettagli e una come contenitore di eventi possibili ; tra una modalità educativa espressa nel far compiere un certo percorso di apprendimento in modo logico e ordinato secondo una sequenza prestabilita, rigorosamente strutturata, ed una che è pensata come il percorso stesso, che si tratterà di costruire momento per momento. Il carattere distintivo è precisamente la destrutturazione e conseguentemente la necessità di costruzione dell’apprendimento.
Queste tre opposizioni, schematicamente ricostruite, esprimono caratteri e contenuti del dibattito e della riflessione sul metodo, così come essi si sono svolti negli ultimi anni.
Un ulteriore considerazione che va fatta a proposito, riguarda la “distanza” tra contenuti d’apprendimento e contenuti di lavoro, tra il luogo dove si svolge il progetto educativo e l’ambiente di lavoro, dove si applica quanto appreso. La questione si riferisce al problema della concretezza e del trasferimento dell’apprendimento. L’opposizione è tra apprendere e agire. Quaglino propone a riguardo il termine “progettualismo” .

Nella direzione del progettualismo é possibile pertanto riconoscere ogni azione formativa che condivida sostanzialmente i seguenti principi:
1. La ricerca di una stretta (e vincolante) integrazione tra oggetti di conoscenza (contenuti di apprendimento) e soggetto che conosce;
2. La ricerca di una efficace identificazione tra contenuti di apprendimento e contenuti di lavoro (problemi “reali” e non fittizi);
3. Il riferimento al soggetto come unità globale al di là di ogni determinazione di ruolo sia rispetto al progetto educativo (nel ruolo di allievo) sia rispetto al contesto di lavoro (nel ruolo professionale);
4. L’orientamento delle finalità a condizioni di sviluppo, crescita, autonomia e realizzazione del soggetto.

Il termine con cui si indica tale approccio pedagogico è self-developement.

Alla sua compiuta teorizzazione hanno contribuito in particolare autori e studiosi che operano prevalentemente nell’area manageriale. Gli elementi del self-developement possono essere riassunti in due principi fondamentali.

LO SVILUPPO:
· è crescita verso un nuovo e più elevato livello di potenzialità;
· implica un momento di passaggio caratterizzato da discontinuità (“rottura”) nelle prestazioni;
· richiede il superamento di difficoltà (“barriere”) iniziali;
· è avviato in presenza di una “sfida” esterna;
· richiede adeguata percezione degli stimoli esterni.

IL PROGETTO DI SELF-DEVELOPEMENT
· è attivato dal soggetto;
· richiede controllo;
· richiede creatività e intuizione;
· implica processi di apprendimento delle modalità soggettive dell’apprendere;
· richiede motivazioni alle realizzazioni del sé;
· richiede accettazione dei rischi e coinvolgimento;
· implica un “lavoro consapevole su di sé”.

In questo orientamento al SD va ritrovata un’occasione di innovazione nel campo dei metodi formativi. Il dibattito sul metodo, sin qui delineato, lascia “aperte” alcune questioni:
· la ridefinizione, nel senso dell’ampliamento, dei confini e dei caratteri, di ciò che si designa come progetto educativo (azione formativa) al di là di quanto tradizionalmente e riduttivamente si riconosce e si riassume nel “corso”;
· la saldatura esplicita tra problemi connessi con i riferimenti teorici in tema di processi di apprendimento e problemi eminentemente operativi;
· l’esigenza di riformulazione di ogni teoria sulla formazione nella direzione del riferimento al soggetto globale.

Il metodo è quindi uno dei nodi fondamentali del fare formazione.

Come si arriva alla scelta di un metodo?
Il sistema formativo alla luce delle trasformazioni strutturali avvenute nell’ambito organizzativo, se vuole attivare processi di apprendimento mirati al cambiamento è chiamato a dar corpo, attraverso un’appropriata e adeguata scelta di metodi formativi, ad una metodologia che risponda nel modo più attento e puntuale a quelle che sono le attuali esigenza dei soggetti. L’efficacia ed efficienza dei sistemi formativi, e quindi la possibilità di produrre un effettivo apprendimento rivolto al cambiamento, corrisponde sempre più ad una difficile e precaria ricerca di equilibrio attraverso precise e consapevoli analisi atte ad individuare i problemi e i pericoli di ogni situazione insieme alle modalità di regolazione e di intervento possibili ed opportune. Anche se ancora resta da compiere, non si possono negare gli sforzi condotti verso l’identificazione di una metodologia in grado di rispondere adeguatamente alla attuale configurazione delle esigenze dei vari attori organizzativi al fine di rendere la formazione realmente incisiva, in grado cioè di sviluppare atteggiamenti e comportamenti il più possibili idonei a far fronte alle nuove realtà. La questione si inquadra nella problematica del metodo.

· Metodi attivi vs metodi passivi
Una consolidata classificazione dei metodi formativi distingue tra metodi passivi e metodi attivi. I primi si basano su di un approccio di natura lineare-sequenziale denominato accademismo il cui obiettivo è quello di istruire (letteralmente: dare istruzioni). Questi metodi sono contrassegnati da un’elevata distanza tra docente e discente, infatti configurano di fatto la tradizionale relazione di insegnamento: il soggetto in formazione è visto come una carta assorbente che assimila ciò che gli viene detto, egli è fondamentalmente passivo, ciò che gli viene richiesto è ascolto e attenzione. L’apprendimento è vincolato a tali condizioni di base, oltre ovviamente per i contenuti, alle informazioni trasmesse dal docente. Come in quasi tutte le comunicazioni di tipo più propriamente scolastico-accademico la relazione pedagogica risulta essere rigida, la logica che sta alla base dello scambio di conoscenza è tra “chi sa” e “chi non sa”, e in tale contesto è basso il controllo da parte del docente sull’apprendimento reale del soggetto in formazione. L’esempio più classico di metodo passivo è la lezione esposta in aula.
I metodi attivi si basano su di un approccio ciclico ricorsivo e vengono prevalentemente utilizzati laddove sono tenuti in vista traguardi di genere formativo in senso più ampio del mero passaggio e trasferimento di nozioni contenuti e conoscenze. La relazione pedagogica tra docente e allievo privilegia la discussione ed il confronto al semplice “ascolto”, e il tipo di apprendimento sollecitato si caratterizza nella logica del problem-solving. I metodi attivi tendono ad incoraggiare una partecipazione diretta dei soggetti in formazione e favoriscono un costante feed-back all’azione del formatore. Con queste metodologie si impara facendo esercizi, sperimentando (metodo try and error), si studiano problemi concreti e non astratti, si ha la possibilità di discutere attivamente, l’attenzione è rivolta più al metodo per arrivare ad una decisione che non alla decisione stessa, portando il soggetto in formazione, con l’aquisizione di maggiore consapevolezza, ad essere il reale protagonista del processo formativo (da oggetto passivo e soggetto attivo del processo formativo). I metodi attivi favoriscono un processo di self-development, tendendo a ricercare una più ristretta integrazione tra il contenuto e il soggetto che apprende, mirando alla ricerca di problemi reali e non fittizi, orientando la finalità educativa verso condizioni di autonomia, sviluppo e autorealizzazione del soggetto sviluppando un’attività formativa riferita al sé e centrata sul soggetto. Al termine self- development possiamo attribuire una duplice velenza: da una lato “sviluppo del sé” (of self), dall’altro “sviluppo attraverso il sé” (by self), nel senso della diretta e piena responsabilità del soggetto. Lo sviluppo by self è attivato dal soggetto e richiede coinvolgimento creatività, motivazione alla realizzazione del sé.

Progettare un intervento formativo utilizzando i metodi attivi è particolarmente apprezzabile in una formazione rivolta a quelle attività professionali dove le componenti prescrittive devono integrarsi con le componenti discrezionali, favorendo una interattività che consenta di raggiungere gli obiettivi professionali in modo più razionale e sicuro.

Proprio mettendo al centro del processo formativo i soggetti in formazione, i metodi attivi si inseriscono in quell’area cruciale e troppo spesso trascurata del processo formativo in cui si tenta un legame effettivo tra gli aspetti normativi, dati dalla meccanica applicazione di conoscenze e abilità tecniche, e gli aspetti discrezionali e processuali. Dall’impiego dei metodi attivi la formazione può promuovere lo sviluppo di ciò che la recente psicopedagogia chiama il pensiero divergente (intendendo con esso ciò che sfugge al precodificato) privilegiando gli aspetti critici e speculativi, sviluppando l’attenzione al nuovo e all’opinabile, richiedendosi agli attori organizzativi un’elevata capacità di flessibilità, di adattamento, di conversione teorico-pratica e di cura particolare di tutti gli aspetti relazionali e comunicazionali che stanno acquistando un peso visibilmente più determinante.

Lo scenario entro il quale si collocano i fenomeni organizzativi è radicalmente mutato rispetto ad alcuni decenni fa. Sono mutati gli equilibri interni, la complessità delle relazioni industriali ha stimolato la ricerca di nuovi rapporti, la turbolenza ambientale ha richiesto e richiede nuovi livelli di conoscenza, il cambiamento tecnologico esige nuove conoscenze e nuove capacità. Il sistema nel suo complesso – sia organizzativo, politico, economico e sociale – si è fatto più turbolento, dinamico e interattivo. Conseguentemente all’aumento della complessità dei sistemi è andata crescendo anche la complessità dei ruoli organizzativi ai quali si richiedano maggiore capacità di coinvolgimento individuale e dei collaboratori, un ampliamento della conoscenza dell’ambiente esterno e, insieme, una maggiore capacità di analisi e dominio della propria area soggettiva e personale. In termini più generali si può ritenere che agli “attori” organizzativi vengano chieste:
· Una sempre maggiore autonomia e coerenza decisionale ;
· Un orientamento mirati agli obiettivi e quindi all’efficacia;
· Una centralità di governo dei processi e un’integrazione delle funzioni;
· Un contemporaneo comporsi di specializzazione tecnica e un superamento delle logiche rigidamente specialistiche.
Accanto a questi aspetti si richiede lo sviluppo delle proprie capacità in un contesto di autonomia, creatività, polivalenza, duttilità e interfunzionalità.
E’ possibile identificare una metodologia didattica in grado di rispondere adeguatamente alla attuale configurazione delle esigenze dei vari attori organizzativi, al fine di rendere la formazione realmente incisiva, in grado cioè di sviluppare atteggiamenti e comportamenti idonei a far fronte ad una realtà sempre più complessa e turbolenta? Una buona metodologia formativa non dovrebbe dimenticare di centrare l’attenzione sull’elemento riconosciuto come perno attorno al quale far ruotare il processo formativo e cioè il soggetto.

In questo senso è opportuno approntare dei metodi che si rivolgano e coinvolgano direttamente il soggetto in formazione e che lo portino da un atteggiamento di ascolto ad uno di coinvolgimento per arrivare poi ad una sua effettiva responsabilizzazione all’interno del processo formativo.


[1] G.P. Quaglino, Fare Formazione, op cit.