Il significato di Knowledge Management (seconda parte) - Dicembre 2003
Dopo aver fornito, nella prima parte , ( http://www.geminieuropa.com/n1103_2.htm ) delle idee di base sul significato del Knowledge Management, procediamo esplorando alcuni autori di grande importanza, a partire da Ikujiro Nonaka, nella sua riflessione sul Knowledge Management, ha enfatizzato l’aspetto che soltanto gli uomini possono generare conoscenza, mentre i computer sono soltanto strumenti, per quanto grande possa essere la loro capacità di elaborare informazioni.
Già vent’anni fa, West Churchman, uno dei precursori tra i teorici dei sistemi informatici, affermava che la conoscenza risiede nei suoi utilizzatori e non nel complesso delle informazioni .
Nonaka, parte dalla premessa che la conoscenza è “contenuta” nelle persone e non nei sistemi informatici, modificando, in tal modo, la concezione proposta negli ultimi anni da molti addetti ai lavori che ingenti investimenti nell’IT conducono a performance crescenti.
Erik Brynjolfsson, Professore alla MIT Sloan School, conferma questa tesi: "La stessa quantità di denaro spesa per un medesimo sistema può fornire un vantaggio competitivo ad un’impresa, ma soltanto carta straccia ad altri. Questo perché un fattore chiave per elevati ritorni economici da innovazione nell’IT, è l’efficace utilizzo delle informazioni che riguardano le performance dell’organizzazione. Come gli executives dovranno fare per individuare tale efficace utilizzo delle informazioni rimane una questione aperta”27.
Sullo stesso argomento e con le stesse conclusioni si sono espressi Paul Strassmann, economista, autore di “The Squandered Computer” (Economic Press, 1997), e John Seely Brown, Direttore dello Xerox Park Research Center in Palo Alto, California, che sottolinea, ad esempio dell’articolo “Sustaining the Ecology of Knowledge”28 come negli ultimi 20 anni le aziende a capitale USA hanno speso centinaia di milioni di dollari in investimenti IT realizzando però miglioramenti insignificanti per la conoscenza dei lavoratori.
“L’epoca in corso”, analizza Brian Arthur, Preside della Facoltà di Eonomia e Studi Demografici alla Stanford University “e’ di transizione tra un’economia basata sulle informazioni e una basata sulla conoscenza. Nel primo periodo i sistemi informativi si basavano su ricette programmabili per il successo ed erano in grado di rispondere alle premesse di efficienza basate sull’ottimizzazione sulla base di predizioni, mentre ora sono centrali la capacita’ di adattamento e di previsione sulla base delle conoscenze acquisite sviluppare la capacità di adattamento rispetto a quella di predire”29.
Arthur ritiene che il mondo dell’impresa basata sul Knowledge è caratterizzata sul "re-everything" e cioè la continua ridefinizione di scopi, obiettivi e pratiche organizzative.
Le imprese competono in un mercato caratterizzato da cambiamenti radicali e discontinui e che richiede un ciclo sempre più rapido tra la creazione della conoscenza e la capacità di metterla in pratica, attraverso l’interpretazione dinamica delle informazioni generate dai sistemi informatici.
Oggi, però, il mondo degli affari non premia l’utilizzo di regole predefinite, quanto la comprensione e l’adattamento alle regole del gioco, nello stesso momento in cui il gioco stesso continua a cambiare.
Secondo Senge e Argyris, questo non è ancora tutto, in quanto la capacità di adattamento è soltanto il primo gradino, mentre le aziende hanno bisogni di focalizzarsi su un apprendimento a doppio binario, “Double- loop learning”.
Le imprese che creano conoscenza, “Generative learning”, enfatizzano la sperimentazione e il feedback nell’esame continuo della strada lungo la quale un’organizzazione definisce e risolve i problemi.
Argyris, come ha espresso nel testo “On organizational Learning”30, ritiene che imprese di questo tipo debbano possedere un “pensiero sistemico”, “una visione condivisa”, “apprendimento dal team” e ”tensione creativa”. Quando le imprese, al contrario, si concentrano sulla risoluzione dei problemi nel presente, senza esaminare l’appropriatezza degli attuali sistemi di apprendimento, agiscono nei termini del miglioramento continuo basato sulle esperienze di successo.
Per mantenere la loro capacità di adattamento, suggeriscono Senge e Argyris, le organizzazioni devono essere capaci di sperimentare ed essere “self design organization”, mantenendosi in uno stato di frequente, quasi continuo cambiamento di strutture, processi, campi e obiettivi.
Karl Erik Sveiby, l’autore di “The New Organizational Wealth: Managing and Measuring Knowledge-Based Assets”, sostiene che la “confusione tra conoscenza e informazione ha portato molti manager ad investimenti milionari sulle tecnologie informatiche, che, però, hanno condotto a ritorni economici marginali”31. Sveiby afferma che i manager devono comprendere che al contrario delle informazioni, la conoscenza è contenuta nelle persone, e lo sviluppo di tale conoscenza avviene all’interno del processo di interazione sociale.
Donald Schon, infine, riapre davanti a noi le difficoltà, i dubbi all’interno della teoria sul Knowledge Management i passi in avanti che è ancora necessario compiere per rendere “La diminuzione della stabilità significa che la nostra società e tutte le sue istituzioni vivono in un continuo stato di trasformazione, né possiamo aspettarci una nuova stabilità che possa durare per tutta la nostra vita. Dobbiamo imparare a capire, guidare, influenzare e gestire tali trasformazioni. Dobbiamo acquisire la capacità di rendere utili queste trasformazioni a noi stessi e alle nostra istituzioni. Dobbiamo, in altre parole, assumere l’attitudine all’apprendimento. Dobbiamo essere capaci non soltanto di trasformare le nostre istituzioni, in risposta dei cambiamenti; dobbiamo creare e sviluppare istituzioni che siamo ‘learning systems’, e cioè sistemi capaci di apprendere dalla loro continua trasformazione.
L’obiettivo che la perdita della stabilità rende imperativo, per le persone, per le istituzioni, per la nostra intera società, è apprendere ad apprendere.
Qual è la natura del processo per cui organizzazione, istituzione e società si trasformano?
Quali sono le caratteristiche di un efficace learning systems?
Quali ostacoli incontra chi vuole sperimentare tale forma di apprendimento?32”.
Questa sono alcuni degli interrogativi che la ricerca dovrà affrontare per rendere efficace il processo di Knowledge Management all’interno di imprese ed istituzioni; per far questo è fondamentale che organizzazione ed individui acquisiscano l’attitudine all’apprendimento e la flessibilità adeguata per rispondere tempestivamente ai cambiamenti.
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27 Erik Brynjolfsson in “Information Week”, Sept. 9, 1996
28 Brown “Sustaining thhe Ecology of Knowledge” in “Leader to Leader n.12 1999
29 Arthur B. “Increasing returns and path dependence in the economy”, University of Michigan Press, 1994
30 Argyris “Generative Learning”, Cambridge, Blacwell Publishers 1993
31 Sveiby E. “The New Organizational Wealth: Managing and Measuring Knowledge-Based Assets”, Berrett Koehler, 1997
32 Schon D. “Beyond the stable State”, Harmondwrth, Penguin, pp. 28-9
Già vent’anni fa, West Churchman, uno dei precursori tra i teorici dei sistemi informatici, affermava che la conoscenza risiede nei suoi utilizzatori e non nel complesso delle informazioni .
Nonaka, parte dalla premessa che la conoscenza è “contenuta” nelle persone e non nei sistemi informatici, modificando, in tal modo, la concezione proposta negli ultimi anni da molti addetti ai lavori che ingenti investimenti nell’IT conducono a performance crescenti.
Erik Brynjolfsson, Professore alla MIT Sloan School, conferma questa tesi: "La stessa quantità di denaro spesa per un medesimo sistema può fornire un vantaggio competitivo ad un’impresa, ma soltanto carta straccia ad altri. Questo perché un fattore chiave per elevati ritorni economici da innovazione nell’IT, è l’efficace utilizzo delle informazioni che riguardano le performance dell’organizzazione. Come gli executives dovranno fare per individuare tale efficace utilizzo delle informazioni rimane una questione aperta”27.
Sullo stesso argomento e con le stesse conclusioni si sono espressi Paul Strassmann, economista, autore di “The Squandered Computer” (Economic Press, 1997), e John Seely Brown, Direttore dello Xerox Park Research Center in Palo Alto, California, che sottolinea, ad esempio dell’articolo “Sustaining the Ecology of Knowledge”28 come negli ultimi 20 anni le aziende a capitale USA hanno speso centinaia di milioni di dollari in investimenti IT realizzando però miglioramenti insignificanti per la conoscenza dei lavoratori.
“L’epoca in corso”, analizza Brian Arthur, Preside della Facoltà di Eonomia e Studi Demografici alla Stanford University “e’ di transizione tra un’economia basata sulle informazioni e una basata sulla conoscenza. Nel primo periodo i sistemi informativi si basavano su ricette programmabili per il successo ed erano in grado di rispondere alle premesse di efficienza basate sull’ottimizzazione sulla base di predizioni, mentre ora sono centrali la capacita’ di adattamento e di previsione sulla base delle conoscenze acquisite sviluppare la capacità di adattamento rispetto a quella di predire”29.
Arthur ritiene che il mondo dell’impresa basata sul Knowledge è caratterizzata sul "re-everything" e cioè la continua ridefinizione di scopi, obiettivi e pratiche organizzative.
Le imprese competono in un mercato caratterizzato da cambiamenti radicali e discontinui e che richiede un ciclo sempre più rapido tra la creazione della conoscenza e la capacità di metterla in pratica, attraverso l’interpretazione dinamica delle informazioni generate dai sistemi informatici.
Oggi, però, il mondo degli affari non premia l’utilizzo di regole predefinite, quanto la comprensione e l’adattamento alle regole del gioco, nello stesso momento in cui il gioco stesso continua a cambiare.
Secondo Senge e Argyris, questo non è ancora tutto, in quanto la capacità di adattamento è soltanto il primo gradino, mentre le aziende hanno bisogni di focalizzarsi su un apprendimento a doppio binario, “Double- loop learning”.
Le imprese che creano conoscenza, “Generative learning”, enfatizzano la sperimentazione e il feedback nell’esame continuo della strada lungo la quale un’organizzazione definisce e risolve i problemi.
Argyris, come ha espresso nel testo “On organizational Learning”30, ritiene che imprese di questo tipo debbano possedere un “pensiero sistemico”, “una visione condivisa”, “apprendimento dal team” e ”tensione creativa”. Quando le imprese, al contrario, si concentrano sulla risoluzione dei problemi nel presente, senza esaminare l’appropriatezza degli attuali sistemi di apprendimento, agiscono nei termini del miglioramento continuo basato sulle esperienze di successo.
Per mantenere la loro capacità di adattamento, suggeriscono Senge e Argyris, le organizzazioni devono essere capaci di sperimentare ed essere “self design organization”, mantenendosi in uno stato di frequente, quasi continuo cambiamento di strutture, processi, campi e obiettivi.
Karl Erik Sveiby, l’autore di “The New Organizational Wealth: Managing and Measuring Knowledge-Based Assets”, sostiene che la “confusione tra conoscenza e informazione ha portato molti manager ad investimenti milionari sulle tecnologie informatiche, che, però, hanno condotto a ritorni economici marginali”31. Sveiby afferma che i manager devono comprendere che al contrario delle informazioni, la conoscenza è contenuta nelle persone, e lo sviluppo di tale conoscenza avviene all’interno del processo di interazione sociale.
Donald Schon, infine, riapre davanti a noi le difficoltà, i dubbi all’interno della teoria sul Knowledge Management i passi in avanti che è ancora necessario compiere per rendere “La diminuzione della stabilità significa che la nostra società e tutte le sue istituzioni vivono in un continuo stato di trasformazione, né possiamo aspettarci una nuova stabilità che possa durare per tutta la nostra vita. Dobbiamo imparare a capire, guidare, influenzare e gestire tali trasformazioni. Dobbiamo acquisire la capacità di rendere utili queste trasformazioni a noi stessi e alle nostra istituzioni. Dobbiamo, in altre parole, assumere l’attitudine all’apprendimento. Dobbiamo essere capaci non soltanto di trasformare le nostre istituzioni, in risposta dei cambiamenti; dobbiamo creare e sviluppare istituzioni che siamo ‘learning systems’, e cioè sistemi capaci di apprendere dalla loro continua trasformazione.
L’obiettivo che la perdita della stabilità rende imperativo, per le persone, per le istituzioni, per la nostra intera società, è apprendere ad apprendere.
Qual è la natura del processo per cui organizzazione, istituzione e società si trasformano?
Quali sono le caratteristiche di un efficace learning systems?
Quali ostacoli incontra chi vuole sperimentare tale forma di apprendimento?32”.
Questa sono alcuni degli interrogativi che la ricerca dovrà affrontare per rendere efficace il processo di Knowledge Management all’interno di imprese ed istituzioni; per far questo è fondamentale che organizzazione ed individui acquisiscano l’attitudine all’apprendimento e la flessibilità adeguata per rispondere tempestivamente ai cambiamenti.
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27 Erik Brynjolfsson in “Information Week”, Sept. 9, 1996
28 Brown “Sustaining thhe Ecology of Knowledge” in “Leader to Leader n.12 1999
29 Arthur B. “Increasing returns and path dependence in the economy”, University of Michigan Press, 1994
30 Argyris “Generative Learning”, Cambridge, Blacwell Publishers 1993
31 Sveiby E. “The New Organizational Wealth: Managing and Measuring Knowledge-Based Assets”, Berrett Koehler, 1997
32 Schon D. “Beyond the stable State”, Harmondwrth, Penguin, pp. 28-9
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