Il capitale intellettuale dell'impresa
Il capitale intellettuale dell'impresa
(da http://www.caosmanagement.it di aprile 2006)
Il contesto: Il ciclo del valore e il capitale intellettuale
Nell' economia della conoscenza, la performance delle aziende e il vantaggio competitivo sono sempre più legati a fattori quali le competenze del personale, l'innovazione, le relazioni con gli stakeholder, la capacità di alimentare incessantemente un circolo virtuoso di creazione, sviluppo, condivisione e diffusione delle conoscenze. Gli elementi evidenziati costituiscono il capitale intellettuale aziendale, ossia il sistema delle risorse immateriali che sono alla base del vantaggio competitivo e della creazione di valore.
Il Capitale Intellettuale di un'azienda è l'insieme degli asset intangibili che essa possiede. Il termine asset intangibile o asset soft, nasce in opposizione a quello di asset tangibile, con il quale si indicano le risorse fisiche a disposizione dell'azienda e del processo produttivo. E' opportuno sottolineare che la maggior parte degli asset soft sono legati alla conoscenza; essi sono essenzialmente: talento, abilità, know-how, know-what e relazioni che possono essere usate per creare ricchezza.
Il Capitale Intellettuale, inteso come risorsa intangibile di un'organizzazione è ormai riconosciuto come elemento critico e fondamentale da cui partire e dal quale ricavare valore aggiunto. Esso non si esaurisce nelle conoscenze e nelle competenze delle persone che sono parte dell'organizzazione ma, si estende alle relazioni che vengono instaurate con gli attori "esterni", alla capacità organizzativa di una struttura e può essere visto come l'"applicazione" delle competenze e delle conoscenze del singolo che genera nuove risorse interne (innovazione, know how, metodologie e processi) ed esterne (immagine, reputazione, relazioni con clienti e fornitori). Se si riesce a trasferire la conoscenza dall'uomo all'organizzazione si sposta il capitale di conoscenza dall'operatore all'organizzazione stessa che ne diventa proprietaria e può a sua volta riproporlo.
Sono individuabili 2 macrocomponenti del capitale intellettuale:
1. Il capitale umano: le competenze delle persone che operano nel core business dell'azienda; 2. Il capitale strutturale relativo alla conoscenza "trattenuta" e "contenuta" dall'azienda che è articolabile a sua volta, in:
2.1 Capitale organizzativo interno che costituisce la conoscenza codificata, strutturata in qualche elemento "tangibile", che lo renda condivisibile al personale dell'organizzazione e, quindi, trasmissibile nel tempo e nello spazio.;
2.2 Il Capitale relazionale relativo al valore dei rapporti di un'organizzazione con le parti interessate. Comprende tutte le relazioni che l'azienda instaura con i principali stakeholder, non solo Clienti ma anche fornitori, comunità locale, finanziatori. Relazioni consolidate e forti con gli stakeholder conferiscono valore ad un'azienda in quanto sono espressione di una redditività duratura. L'insieme delle relazioni interne all'azienda che i singoli individui mettono in atto, consente di innestare quell'effetto moltiplicatore che permette ad ogni organizzazione di conseguire prestazioni di ordine superiore. E' da questo tipo di capitale che discende la cultura del gruppo, alla base di qualsiasi organizzazione.
Per gestire, in un ottica di sviluppo, tali elementi intangibili, è utile predisporre un bilancio del capitale intellettuale (intellectual capital report), che non è altro che un report che ha lo scopo di indicare gli elementi intangibili dell'impresa, affiancandoli ai valori contabili e alle transazioni presenti nel bilancio tradizionale che rappresentano gli elementi tangibili. Tali bilanci, fornendo una descrizione esaustiva degli elementi immateriali dell'azienda, del loro sviluppo nel tempo e della loro relazione con il business d'impresa, sono sia degli ottimi strumenti manageriali di valutazione, sia ottimi strumenti esterni di comunicazione.
La valutazione del valore di un'azienda con i tradizionali strumenti contabili, restituisce un risultato fortemente parziale dell'effettivo valore poiché ignora gli asset intangibili e si limita a "registrare" una misura fortemente vincolata agli asset fisici, i quali non forniscono alcuna informazione in merito alla capacità competitiva dell'organizzazione.
La creazione del valore é a valle di una corretta misurazione e gestione del capitale intellettuale .
Lo scenario: cosa sta accadendo nel mondo, in Europa e in Italia. Le indicazioni di Basilea 2.
Il capitale intellettuale è il sistema delle risorse immateriali aziendali che sono alla base della creazione del vantaggio competitivo e che spiegano una parte del differenziale tra il valore che il mercato attribuisce ad un'organizzazione e il valore che emerge dal bilancio di esercizio.E' proprio tale differenziale, non misurato dai tradizionali strumenti di analisi del valore aziendale, che ha generato la forte esigenza di predisporre nuove metodologie e strumenti.
In Europa, il governo danese ha presentato delle linee guida per le società che intendono pubblicare un Intellectual Capital Report, dove il focus non è tanto la valorizzazione degli asset intangibili nello stato patrimoniale e nel conto economico, ma la comunicazione al mercato di informazioni aggiuntive relative a tali asset. L'accento è quindi sulla gestione più che sulla esatta valorizzazione economica. Nel maggio 2001, inoltre, anche il Department of Trade and Industry inglese ha pubblicato un documento in cui riconosce l'urgenza di giungere alla rendicontazione degli asset intangibili. La stessa UE nel 2003 ha istituito un gruppo di ricerca denominato High Level Expert Group on the Intagible Economy con il compito di giungere alla stesura di un White Paper in materia. A partire dall'anno 2003 le aziende danesi operanti nei settori "knowledge intensive" sono obbligate a pubblicare un "intellectual capital report" perché valutare il proprio capitale intellettuale.
In Italia la situazione è abbastanza variegata. La società di comunicazione Hill & Knowlton (ottobre 2003) ha infatti evidenziato come l'80% degli amministratori delegati consideri fondamentale la "reputazione" delle proprie aziende, ma anche come solo meno del 30% abbia cercato di misurarla in qualche modo. Significativo di un'accresciuta attenzione, tuttavia, è il fatto che l'Aiaf, l'Associazione Italiana degli Analisti Finanziari, abbia elaborato un modello di rilevazione e comunicazione degli "intangible asset" delle aziende italiane. Si tratta del primo esempio a livello internazionale di una presa di posizione "ufficiale" sul tema da parte degli analisti finanziari, e a partire dal 2006 gli analisti finanziari italiani dovrebbero classificare le aziende anche sulla base del loro livello di "disclosure" con riguardo agli asset intangibili..
Alla luce di tali considerazioni, non sono da sottovalutare le prospettive offerte dal Comitato di Basilea per la misurazione del capitale intellettuale.
Il Comitato di Basilea 2 è sorto nel 1974 ed è un'organizzazione internazionale, che opera in seno alla Banca dei Regolamenti Internazionali (Bank for International Settlements, BIS), allo scopo di promuovere e favorire la stabilità monetaria e finanziaria e la collaborazione fra le banche centrali dei dieci paesi più industrializzati: Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e USA (G10 con Lussemburgo e Spagna).
Dopo il primo accordo del 1998 che ha posto le basi delle nuove regole di vigilanza del sistema bancario, nel gennaio 2001 nasce un nuovo accordo internazionale Basilea 2 sui requisiti minimi patrimoniali delle banche. In base ad esso, le banche dei Paesi aderenti dovranno accumulare quote di capitale, proporzionate al rischio derivante dai vari rapporti di credito assunti. Gli istituti di credito dovranno, inoltre, classificare la clientela in base a determinati coefficienti di rischiosità.
La banca effettuerà valutazioni sui clienti nei seguenti campi: capacità storica e futura di generare liquidità struttura patrimoniale, qualità dei ricavi programma aziendale (pianificazioni strategiche, investimenti in ricerca e sviluppo), qualità e tempestività delle informazioni, management (continuità della dirigenza, regole di successione, classe sociale) caratteristiche e andamento del settore in cui opera l'azienda (informazioni legate al settore e al mercato in generale) andamento del rapporto banca/impresa (utilizzo degli affidamenti, sconfinamenti, insoluti , ecc.); andamento del rapporto azienda/sistema bancario attraverso dati desumibili dalla Centrale dei Rischi e da strumenti analoghi di informazione .
I rating interni devono ricoprire un ruolo primario nella procedura di approvazione del credito e dovrebbero costituire parte integrante della procedura di misurazione e gestione del rischio di credito. Le probabilità di insolvenza associate ai rating devono essere utilizzate per il pricing del rischio di credito, quindi il costo del credito deve riflettere le indicazioni derivate dai rating e dalle particolarità dell'operazione.
Dalle considerazioni di cui sopra, emerge l'imprescindibilità dell'adozione di nuove metodologie e strumenti per la misura del valore aziendale, tanto più che le aree di valutazione identificate da Basilea 2 sono fortemente influenzate dagli asset intangibili contenuti nel capitale intellettuale.
Il bilancio del capitale intellettuale
La realizzazione del bilancio del capitale intellettuale (intellectual capital report) fornisce una risposta alle seguenti questioni:
1) Quali competenze ha sviluppato la mia azienda e quali occorre ancora sviluppare?
2) Qual è l'effetto di un miglioramento (o peggioramento) dell'immagine della mia azienda sulla capacità di attrarre nuovi clienti e di relazionarsi con gli stakeholders esterni?
3) Quale approccio culturale della mia azienda favorisce e supporta l'innovazione o tende ad ostacolarla?
4) Che tipo di impatto ha l'attività formativa nella mia azienda sulla riduzione del gap di competenze strategiche?
5) In quali rischi di perdita di patrimonio intellettuale interno ed esterno può incorrere la mia azienda?
…e persegue le seguenti finalità:
a) Monitorare i processi di costruzione/distruzione di valore aziendale.
b) Comunicare al mercato (stakeholders e shareholders) tale valore.
c) Monitorare la capacità competitiva prospettica dell'azienda (patrimonio di relazioni con il mercato, capacità di innovazione, competenze, knowledge).
La metodologia e lo strumento dell'"intellectual capital report" sono assolutamente coerenti con l'assunto che il successo di un'impresa dipende dal valore che essa esprime sul mercato tramite una crescita costante del capitale intellettuale, con la convinzione che questa sia l'unica strada per generare valore e ricchezza. Tale politica supportata da strumenti concreti come l'"intellectual capital report, è in grado di innescare un circolo virtuoso capace di moltiplicare il valore e, quindi, il successo dell'impresa.
(da http://www.caosmanagement.it di aprile 2006)
Il contesto: Il ciclo del valore e il capitale intellettuale
Nell' economia della conoscenza, la performance delle aziende e il vantaggio competitivo sono sempre più legati a fattori quali le competenze del personale, l'innovazione, le relazioni con gli stakeholder, la capacità di alimentare incessantemente un circolo virtuoso di creazione, sviluppo, condivisione e diffusione delle conoscenze. Gli elementi evidenziati costituiscono il capitale intellettuale aziendale, ossia il sistema delle risorse immateriali che sono alla base del vantaggio competitivo e della creazione di valore.
Il Capitale Intellettuale di un'azienda è l'insieme degli asset intangibili che essa possiede. Il termine asset intangibile o asset soft, nasce in opposizione a quello di asset tangibile, con il quale si indicano le risorse fisiche a disposizione dell'azienda e del processo produttivo. E' opportuno sottolineare che la maggior parte degli asset soft sono legati alla conoscenza; essi sono essenzialmente: talento, abilità, know-how, know-what e relazioni che possono essere usate per creare ricchezza.
Il Capitale Intellettuale, inteso come risorsa intangibile di un'organizzazione è ormai riconosciuto come elemento critico e fondamentale da cui partire e dal quale ricavare valore aggiunto. Esso non si esaurisce nelle conoscenze e nelle competenze delle persone che sono parte dell'organizzazione ma, si estende alle relazioni che vengono instaurate con gli attori "esterni", alla capacità organizzativa di una struttura e può essere visto come l'"applicazione" delle competenze e delle conoscenze del singolo che genera nuove risorse interne (innovazione, know how, metodologie e processi) ed esterne (immagine, reputazione, relazioni con clienti e fornitori). Se si riesce a trasferire la conoscenza dall'uomo all'organizzazione si sposta il capitale di conoscenza dall'operatore all'organizzazione stessa che ne diventa proprietaria e può a sua volta riproporlo.
Sono individuabili 2 macrocomponenti del capitale intellettuale:
1. Il capitale umano: le competenze delle persone che operano nel core business dell'azienda; 2. Il capitale strutturale relativo alla conoscenza "trattenuta" e "contenuta" dall'azienda che è articolabile a sua volta, in:
2.1 Capitale organizzativo interno che costituisce la conoscenza codificata, strutturata in qualche elemento "tangibile", che lo renda condivisibile al personale dell'organizzazione e, quindi, trasmissibile nel tempo e nello spazio.;
2.2 Il Capitale relazionale relativo al valore dei rapporti di un'organizzazione con le parti interessate. Comprende tutte le relazioni che l'azienda instaura con i principali stakeholder, non solo Clienti ma anche fornitori, comunità locale, finanziatori. Relazioni consolidate e forti con gli stakeholder conferiscono valore ad un'azienda in quanto sono espressione di una redditività duratura. L'insieme delle relazioni interne all'azienda che i singoli individui mettono in atto, consente di innestare quell'effetto moltiplicatore che permette ad ogni organizzazione di conseguire prestazioni di ordine superiore. E' da questo tipo di capitale che discende la cultura del gruppo, alla base di qualsiasi organizzazione.
Per gestire, in un ottica di sviluppo, tali elementi intangibili, è utile predisporre un bilancio del capitale intellettuale (intellectual capital report), che non è altro che un report che ha lo scopo di indicare gli elementi intangibili dell'impresa, affiancandoli ai valori contabili e alle transazioni presenti nel bilancio tradizionale che rappresentano gli elementi tangibili. Tali bilanci, fornendo una descrizione esaustiva degli elementi immateriali dell'azienda, del loro sviluppo nel tempo e della loro relazione con il business d'impresa, sono sia degli ottimi strumenti manageriali di valutazione, sia ottimi strumenti esterni di comunicazione.
La valutazione del valore di un'azienda con i tradizionali strumenti contabili, restituisce un risultato fortemente parziale dell'effettivo valore poiché ignora gli asset intangibili e si limita a "registrare" una misura fortemente vincolata agli asset fisici, i quali non forniscono alcuna informazione in merito alla capacità competitiva dell'organizzazione.
La creazione del valore é a valle di una corretta misurazione e gestione del capitale intellettuale .
Lo scenario: cosa sta accadendo nel mondo, in Europa e in Italia. Le indicazioni di Basilea 2.
Il capitale intellettuale è il sistema delle risorse immateriali aziendali che sono alla base della creazione del vantaggio competitivo e che spiegano una parte del differenziale tra il valore che il mercato attribuisce ad un'organizzazione e il valore che emerge dal bilancio di esercizio.E' proprio tale differenziale, non misurato dai tradizionali strumenti di analisi del valore aziendale, che ha generato la forte esigenza di predisporre nuove metodologie e strumenti.
In Europa, il governo danese ha presentato delle linee guida per le società che intendono pubblicare un Intellectual Capital Report, dove il focus non è tanto la valorizzazione degli asset intangibili nello stato patrimoniale e nel conto economico, ma la comunicazione al mercato di informazioni aggiuntive relative a tali asset. L'accento è quindi sulla gestione più che sulla esatta valorizzazione economica. Nel maggio 2001, inoltre, anche il Department of Trade and Industry inglese ha pubblicato un documento in cui riconosce l'urgenza di giungere alla rendicontazione degli asset intangibili. La stessa UE nel 2003 ha istituito un gruppo di ricerca denominato High Level Expert Group on the Intagible Economy con il compito di giungere alla stesura di un White Paper in materia. A partire dall'anno 2003 le aziende danesi operanti nei settori "knowledge intensive" sono obbligate a pubblicare un "intellectual capital report" perché valutare il proprio capitale intellettuale.
In Italia la situazione è abbastanza variegata. La società di comunicazione Hill & Knowlton (ottobre 2003) ha infatti evidenziato come l'80% degli amministratori delegati consideri fondamentale la "reputazione" delle proprie aziende, ma anche come solo meno del 30% abbia cercato di misurarla in qualche modo. Significativo di un'accresciuta attenzione, tuttavia, è il fatto che l'Aiaf, l'Associazione Italiana degli Analisti Finanziari, abbia elaborato un modello di rilevazione e comunicazione degli "intangible asset" delle aziende italiane. Si tratta del primo esempio a livello internazionale di una presa di posizione "ufficiale" sul tema da parte degli analisti finanziari, e a partire dal 2006 gli analisti finanziari italiani dovrebbero classificare le aziende anche sulla base del loro livello di "disclosure" con riguardo agli asset intangibili..
Alla luce di tali considerazioni, non sono da sottovalutare le prospettive offerte dal Comitato di Basilea per la misurazione del capitale intellettuale.
Il Comitato di Basilea 2 è sorto nel 1974 ed è un'organizzazione internazionale, che opera in seno alla Banca dei Regolamenti Internazionali (Bank for International Settlements, BIS), allo scopo di promuovere e favorire la stabilità monetaria e finanziaria e la collaborazione fra le banche centrali dei dieci paesi più industrializzati: Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e USA (G10 con Lussemburgo e Spagna).
Dopo il primo accordo del 1998 che ha posto le basi delle nuove regole di vigilanza del sistema bancario, nel gennaio 2001 nasce un nuovo accordo internazionale Basilea 2 sui requisiti minimi patrimoniali delle banche. In base ad esso, le banche dei Paesi aderenti dovranno accumulare quote di capitale, proporzionate al rischio derivante dai vari rapporti di credito assunti. Gli istituti di credito dovranno, inoltre, classificare la clientela in base a determinati coefficienti di rischiosità.
La banca effettuerà valutazioni sui clienti nei seguenti campi: capacità storica e futura di generare liquidità struttura patrimoniale, qualità dei ricavi programma aziendale (pianificazioni strategiche, investimenti in ricerca e sviluppo), qualità e tempestività delle informazioni, management (continuità della dirigenza, regole di successione, classe sociale) caratteristiche e andamento del settore in cui opera l'azienda (informazioni legate al settore e al mercato in generale) andamento del rapporto banca/impresa (utilizzo degli affidamenti, sconfinamenti, insoluti , ecc.); andamento del rapporto azienda/sistema bancario attraverso dati desumibili dalla Centrale dei Rischi e da strumenti analoghi di informazione .
I rating interni devono ricoprire un ruolo primario nella procedura di approvazione del credito e dovrebbero costituire parte integrante della procedura di misurazione e gestione del rischio di credito. Le probabilità di insolvenza associate ai rating devono essere utilizzate per il pricing del rischio di credito, quindi il costo del credito deve riflettere le indicazioni derivate dai rating e dalle particolarità dell'operazione.
Dalle considerazioni di cui sopra, emerge l'imprescindibilità dell'adozione di nuove metodologie e strumenti per la misura del valore aziendale, tanto più che le aree di valutazione identificate da Basilea 2 sono fortemente influenzate dagli asset intangibili contenuti nel capitale intellettuale.
Il bilancio del capitale intellettuale
La realizzazione del bilancio del capitale intellettuale (intellectual capital report) fornisce una risposta alle seguenti questioni:
1) Quali competenze ha sviluppato la mia azienda e quali occorre ancora sviluppare?
2) Qual è l'effetto di un miglioramento (o peggioramento) dell'immagine della mia azienda sulla capacità di attrarre nuovi clienti e di relazionarsi con gli stakeholders esterni?
3) Quale approccio culturale della mia azienda favorisce e supporta l'innovazione o tende ad ostacolarla?
4) Che tipo di impatto ha l'attività formativa nella mia azienda sulla riduzione del gap di competenze strategiche?
5) In quali rischi di perdita di patrimonio intellettuale interno ed esterno può incorrere la mia azienda?
…e persegue le seguenti finalità:
a) Monitorare i processi di costruzione/distruzione di valore aziendale.
b) Comunicare al mercato (stakeholders e shareholders) tale valore.
c) Monitorare la capacità competitiva prospettica dell'azienda (patrimonio di relazioni con il mercato, capacità di innovazione, competenze, knowledge).
La metodologia e lo strumento dell'"intellectual capital report" sono assolutamente coerenti con l'assunto che il successo di un'impresa dipende dal valore che essa esprime sul mercato tramite una crescita costante del capitale intellettuale, con la convinzione che questa sia l'unica strada per generare valore e ricchezza. Tale politica supportata da strumenti concreti come l'"intellectual capital report, è in grado di innescare un circolo virtuoso capace di moltiplicare il valore e, quindi, il successo dell'impresa.
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