Motivazione ed apprendimento - Febbraio 2005
La formazione attraverso il web si è sviluppata in pochissimi anni e si presenta in continuo mutamento. In quest’ottica molti sono ancora gli interrogativi ai quali non è facile dare una risposta. Tra tutte queste incertezze però, un elemento sembra ancora chiaro e di facile esplicazione: l’importanza delle motivazioni nei processi formativi.
Nel corso degli anni si è giunti alla conclusione che parlare di formazione implica la considerazione delle teorie motivazionali. Soprattutto per quanto riguarda l’e-learning in cui i discenti diventano parte integrante del processo formativo.
Cerchiamo quindi con questo articolo di capire come la motivazione sia legata all’apprendimento.
In maniera molto generale, per motivazione si intende ciò che spinge un individuo ad agire, ossia ciò che innesca l’azione. L’etimologia della parola si trova infatti nel motivo, generalmente indicato come un bisogno interno che fa agire e reagire l’uomo.
Per quanto riguarda la formazione, l’analisi delle teorie motivazionali ci consente di capire i motivi che determinano nel discente il desiderio di apprendere o di non apprendere.
Nel cercare di capire il rapporto tra motivazione ed apprendimento, la maggior parte dei ricercatori ha individuato diversi interrogativi che tenteremo di analizzare:
La presenza della motivazione è indispensabile in ogni processo di apprendimento?
La motivazione ha necessariamente un effetto positivo sull’apprendimento?
Si può affermare che più si è motivati e più si apprende?
La relazione tra motivazione e apprendimento è univica?
Per quanto riguarda il primo interrogativo, sono in molti a considerare la motivazione una condizione “sine qua non” dell’apprendimento. Questa affermazione, per alcuni ricercatori, non è però del tutto esatta. Alcuni studi, hanno dimostrato che esistono apprendimenti che si producono senza alcuna intenzione preliminare di apprendere. Tale fenomeno è stato dimostrato da Dickinson nel 1978. Nel suo esperimento Dickinson ha cercato di far apprendere a due gruppi distinti di individui alcuni movimenti del braccio. Il primo gruppo aveta ricevuto la consegna di imparare questi movimenti come compito. I componenti del secondo gruppo invece apprendevano in maniera incidente ossia, senza una precisa motivazione all’apprendimento. I risultati dell’esperimento non hanno mostrato alcuna differenza sostanziale. Da qui si è arrivati alla conclusione che non sempre la motivazione è una condizione fondamentale per l’apprendimento, anche se rimane comunque uno degli elementi fondamentali di tale processo.
In relazione al secondo quesito, si è giunti alla conclusione che esistono diversi tipi e stati di motivazione, che non producono tutti gli stessi effetti. Alcuni sono più benefici di altri, che invece possono avere effetti negativi sull’apprendimento. È possibile identificate in relazione all’apprendimento comportamenti adattivi o non adattivi. I primi favoriscono l’apprendimento mentre i secondi lo ostacolano.
Per meglio capire il rapporto tra questi elementi, riteniamo sia utile una brave carrellata delle teorie motivazionali che si sono presentate nell’arco della storia. Molte sono le teorie che cercano di spiegare cosa spinga l’allievo ad impegnarsi nell’apprendimento.
Per meglio comprendere il ruolo di questi fattori ci sembra utile ricordare che i processi motivazionali sono manifestati da tre fattori: l’orientamento del comportamento, l’intensità del comportamento stesso e la perseveranza nel seguire la direzione presa.
Ognuna delle teorie motivazionali ha cercato di analizzare e capire i rapporti tra questi tre elementi.
La maggior parte delle teorie motivazionali può essere racchiusa in due grandi macro-classi: le teorie meccaniciste e le teorie cognitiviste.
Le teorie meccaniciste:
secondo il pensiero degli studiosi di tali teorie, l’analisi del comportamento si basa sullo schema dello stimolo/risposta. Gli organismi vengono visti come passivi e reagiscono agli stimoli esterni dell’ambiente, ignorando del tutto i processi cognitivi. È per questo motivo che da questo modello si è generata quella che oggi viene chiamata motivazione estrinseca. Ossia la motivazione che viene generata da fattori esterni all’individuo. L’apprendimento viene quindi visto come un mezzo per arrivare ad un fine.
Questo tipo di teorie viene diviso in due sotto gruppi:
le teorie Behavioriste: rappresentate da autori come Watson e Skinner, i quali ritengono che lo schema stimolo risposta sia sufficiente alla spiegazione del comportamento.
le teorie Neo-Behavioriste: rappresentate da Hull, Spence, Miller ecc.. che riconoscono la necessità di utilizzare delle variabili intermedie per l’analisi dei comportamenti.
Le teorie cognitiviste:
per gli studiosi appartenenti a questo modello, l’azione può essere influenzata da processi cognitivi (ragionamento, analisi, rappresentazione, anticipazione, ….). In questo modello l’individuo è attivo; non reagisce solo agli stimoli dell’ambiente esterno ma può creare il suo ambiente. È da qui che nasce appunto la motivazione intrinseca, che ha la sua origine nell’individuo stesso. In questo caso l’apprendimento viene visto come un fine in sé.
I sotto gruppi appartenenti a queste teorie sono:
le teorie in cui solo l’anticipazione determina l’azione. Tra queste teorie rientrano gli studi fatti da Lewein, Atkinson, Tolman
le teorie in cui più processi cognitivi portano l’individuo ad agire. In questo gruppo rientrano studiosi come: Hider, Deci, Singer, Duda ecc…
concezioni prettamente umanistiche come le teorie di Ma slow, Rogers e Nuttin.
Con il terzo quesito, si cerca di capire se si apprende meglio quando si è maggiormente motivati. Questa è un’idea molto ricorrente per spiegare i risultati degli sportivi in competizioni molto importanti ma molte volte è vero anche il contrario; un’elevata motivazione più avere effetti negativi. Alcuni studi di Durand hanno confermato questo modo di vedere. Durand ha infatti dimostrato, con la sua teoria della dissonanza che le prestazioni dei soggetti corrispondono ad un optimum di motivazioni, né troppo basse e né troppo alte. Durand aggiunge inoltre che: l’ optimum di motivazione dipende dalla difficoltà oggettiva del compito, concludendo che la migliore prestazione è raggiunta per una bassa motivazione quando il compito è difficile e per una motivazione forte quanto esso è debole.
Per molti anni si è pensato che la relazione tra motivazione e apprendimento fosse unidirezionale. L’insieme delle teorie che abbiamo analizzato, ci fa però capire che anche questa affermazione non è del tutto esatta. È soprattutto negli ultimi anni e con le nuove metodologie formative che si è giunti alla conclusione che è inesatto affermare che la sola motivazione conduce all’apprendimento. Anche l’apprendimento può influenzare in modo positivo o negativo la motivazione ad apprendere. È per questo che bisogna fare sempre maggiore attenzione al modo in cui vengono strutturati i corsi di formazione al fine di motivare sempre più all’apprendimento, alla partecipazione e alla condivisione.
Barbara Ciani
Nel corso degli anni si è giunti alla conclusione che parlare di formazione implica la considerazione delle teorie motivazionali. Soprattutto per quanto riguarda l’e-learning in cui i discenti diventano parte integrante del processo formativo.
Cerchiamo quindi con questo articolo di capire come la motivazione sia legata all’apprendimento.
In maniera molto generale, per motivazione si intende ciò che spinge un individuo ad agire, ossia ciò che innesca l’azione. L’etimologia della parola si trova infatti nel motivo, generalmente indicato come un bisogno interno che fa agire e reagire l’uomo.
Per quanto riguarda la formazione, l’analisi delle teorie motivazionali ci consente di capire i motivi che determinano nel discente il desiderio di apprendere o di non apprendere.
Nel cercare di capire il rapporto tra motivazione ed apprendimento, la maggior parte dei ricercatori ha individuato diversi interrogativi che tenteremo di analizzare:
La presenza della motivazione è indispensabile in ogni processo di apprendimento?
La motivazione ha necessariamente un effetto positivo sull’apprendimento?
Si può affermare che più si è motivati e più si apprende?
La relazione tra motivazione e apprendimento è univica?
Per quanto riguarda il primo interrogativo, sono in molti a considerare la motivazione una condizione “sine qua non” dell’apprendimento. Questa affermazione, per alcuni ricercatori, non è però del tutto esatta. Alcuni studi, hanno dimostrato che esistono apprendimenti che si producono senza alcuna intenzione preliminare di apprendere. Tale fenomeno è stato dimostrato da Dickinson nel 1978. Nel suo esperimento Dickinson ha cercato di far apprendere a due gruppi distinti di individui alcuni movimenti del braccio. Il primo gruppo aveta ricevuto la consegna di imparare questi movimenti come compito. I componenti del secondo gruppo invece apprendevano in maniera incidente ossia, senza una precisa motivazione all’apprendimento. I risultati dell’esperimento non hanno mostrato alcuna differenza sostanziale. Da qui si è arrivati alla conclusione che non sempre la motivazione è una condizione fondamentale per l’apprendimento, anche se rimane comunque uno degli elementi fondamentali di tale processo.
In relazione al secondo quesito, si è giunti alla conclusione che esistono diversi tipi e stati di motivazione, che non producono tutti gli stessi effetti. Alcuni sono più benefici di altri, che invece possono avere effetti negativi sull’apprendimento. È possibile identificate in relazione all’apprendimento comportamenti adattivi o non adattivi. I primi favoriscono l’apprendimento mentre i secondi lo ostacolano.
Per meglio capire il rapporto tra questi elementi, riteniamo sia utile una brave carrellata delle teorie motivazionali che si sono presentate nell’arco della storia. Molte sono le teorie che cercano di spiegare cosa spinga l’allievo ad impegnarsi nell’apprendimento.
Per meglio comprendere il ruolo di questi fattori ci sembra utile ricordare che i processi motivazionali sono manifestati da tre fattori: l’orientamento del comportamento, l’intensità del comportamento stesso e la perseveranza nel seguire la direzione presa.
Ognuna delle teorie motivazionali ha cercato di analizzare e capire i rapporti tra questi tre elementi.
La maggior parte delle teorie motivazionali può essere racchiusa in due grandi macro-classi: le teorie meccaniciste e le teorie cognitiviste.
Le teorie meccaniciste:
secondo il pensiero degli studiosi di tali teorie, l’analisi del comportamento si basa sullo schema dello stimolo/risposta. Gli organismi vengono visti come passivi e reagiscono agli stimoli esterni dell’ambiente, ignorando del tutto i processi cognitivi. È per questo motivo che da questo modello si è generata quella che oggi viene chiamata motivazione estrinseca. Ossia la motivazione che viene generata da fattori esterni all’individuo. L’apprendimento viene quindi visto come un mezzo per arrivare ad un fine.
Questo tipo di teorie viene diviso in due sotto gruppi:
le teorie Behavioriste: rappresentate da autori come Watson e Skinner, i quali ritengono che lo schema stimolo risposta sia sufficiente alla spiegazione del comportamento.
le teorie Neo-Behavioriste: rappresentate da Hull, Spence, Miller ecc.. che riconoscono la necessità di utilizzare delle variabili intermedie per l’analisi dei comportamenti.
Le teorie cognitiviste:
per gli studiosi appartenenti a questo modello, l’azione può essere influenzata da processi cognitivi (ragionamento, analisi, rappresentazione, anticipazione, ….). In questo modello l’individuo è attivo; non reagisce solo agli stimoli dell’ambiente esterno ma può creare il suo ambiente. È da qui che nasce appunto la motivazione intrinseca, che ha la sua origine nell’individuo stesso. In questo caso l’apprendimento viene visto come un fine in sé.
I sotto gruppi appartenenti a queste teorie sono:
le teorie in cui solo l’anticipazione determina l’azione. Tra queste teorie rientrano gli studi fatti da Lewein, Atkinson, Tolman
le teorie in cui più processi cognitivi portano l’individuo ad agire. In questo gruppo rientrano studiosi come: Hider, Deci, Singer, Duda ecc…
concezioni prettamente umanistiche come le teorie di Ma slow, Rogers e Nuttin.
Con il terzo quesito, si cerca di capire se si apprende meglio quando si è maggiormente motivati. Questa è un’idea molto ricorrente per spiegare i risultati degli sportivi in competizioni molto importanti ma molte volte è vero anche il contrario; un’elevata motivazione più avere effetti negativi. Alcuni studi di Durand hanno confermato questo modo di vedere. Durand ha infatti dimostrato, con la sua teoria della dissonanza che le prestazioni dei soggetti corrispondono ad un optimum di motivazioni, né troppo basse e né troppo alte. Durand aggiunge inoltre che: l’ optimum di motivazione dipende dalla difficoltà oggettiva del compito, concludendo che la migliore prestazione è raggiunta per una bassa motivazione quando il compito è difficile e per una motivazione forte quanto esso è debole.
Per molti anni si è pensato che la relazione tra motivazione e apprendimento fosse unidirezionale. L’insieme delle teorie che abbiamo analizzato, ci fa però capire che anche questa affermazione non è del tutto esatta. È soprattutto negli ultimi anni e con le nuove metodologie formative che si è giunti alla conclusione che è inesatto affermare che la sola motivazione conduce all’apprendimento. Anche l’apprendimento può influenzare in modo positivo o negativo la motivazione ad apprendere. È per questo che bisogna fare sempre maggiore attenzione al modo in cui vengono strutturati i corsi di formazione al fine di motivare sempre più all’apprendimento, alla partecipazione e alla condivisione.
Barbara Ciani
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